venerdì 22 luglio 2022

Illuminante

 

Whatever it fakes
di Marco Travaglio
Finita la legislatura, non resta che un breve inventario delle cattive cose di pessimo gusto nel salotto di nonna Speranza (senza offesa per il ministro omonimo).
L’Italia s’è mesta. Dopo decenni di “Ce lo chiede l’Europa”, ci è toccato il capolavoro draghiano “Ce lo chiedono gli italiani”. I quali, va detto, non s’erano accorti di aver chiesto nulla. Infatti ci son cascati solo Repubblica (“L’Italia tradita”) e il soprastante Enrico Letta (“Il Parlamento s’è messo contro l’Italia”). Ma allora non si vede perché costoro siano in lutto per la sicura vittoria della Meloni. Se tutti gli italiani volevano Draghi, è certo che l’unica leader che s’è sempre opposta al suo governo non prenderà un voto. Invece Letta, Calenda, Renzi e Di Maio che si sono stretti a lui fino all’ultimo avranno un campo non largo, ma larghissimo, anzi una prateria: gli basterà sventolare l’Agenda Draghi, imbarcare pure Gelmini e Brunetta (come suggerisce l’acuto Marcucci) e sfioreranno il 100% dei voti. Cosa sono allora quelle facce tristi? Su col morale: allegria!
Populisti. Chi siano esattamente, non s’è mai capito. Ma davamo per scontato che fossero morti, tanti necrologi avevamo letto dopo le ultime Comunali, vinte notoriamente da Pd e Calenda. Ora scopriamo che Draghi è stato abbattuto dall’“asse populista” (Cuzzocrea, Stampa), dal “No populista” (Franco, Corriere), anzi dal “populismo” tout court (Sambuca, Rep). Strano: il populismo è tipico di chi si appella plebiscitariamente al popolo buono contro il Parlamento e i partiti cattivi: dunque nessuno è più populista del Draghi dell’altroieri, che ha chiesto pieni poteri come Salvini nel 2019, con l’unica differenza che Salvini era sul palco di un comizio e Draghi al banco del governo in Senato. Una scena mai vista in un Parlamento democratico da quando un altro premier evocò l’“aula sorda e grigia” e il “bivacco di manipoli” esattamente cent’anni fa: allora il Parlamento i pieni poteri li concesse per un Ventennio, oggi no. Il Parlamento “più populista di sempre” ci ha risparmiato tre svolte populiste e autoritarie in tre anni: il no al Papeete di Salvini; il no a Draghi che – come suggerito dal fido Giorgetti – voleva il Colle “per guidare di lì il convoglio”, cioè un governo presidenzialista; il no a Draghi che –come suggerito dal fido Calenda– minaccia: “O così o ciccia”. Per fortuna ha vinto ciccia.
Apocalypse ciao. Alla caduta di ogni cocco di casta – Monti, Renzi, Draghi – si prevedono baratri, burroni, tsunami, armageddon che poi sono regolarmente rinviati causa bel tempo. Ma, casomai stavolta la fine del mondo arrivasse davvero, la domanda sorge spontanea.
Se SuperMario, devoto solo al nostro Bene, pensava davvero che dopo di lui sarà il diluvio (debito, Pil, spread, Borse, Pnrr e tutto il cucuzzaro, senza contare la vittoria di Putin che pilota B., Salvini e soprattutto Conte a suon di rubli), che gli è saltato in mente di insultare i 2 maggiori alleati mentre chiedeva loro la fiducia, obbligandoli a levargliela?
Campo Largo. Da quando Letta lo inventò, non s’è mai capito cosa sia. Lo si capiva quando si chiamava alleanza giallorosa: il fronte M5S-Pd-Leu che diede vita al governo Conte-2 e che, lavorando bene, veleggiava nei sondaggi alla pari e talvolta sopra il centrodestra, mentre Conte era il politico più apprezzato e Salvini&Meloni si sputtanavano negando la pandemia e/o contestando le misure anti-Covid. Affossati da un partitucolo del 2% con la complicità di mezzo Pd, Conte aumentò vieppiù i consensi: sarebbe bastato votare allora (primavera 2021) e le possibilità di vincere erano ottime. Invece Mattarella negò a Conte – mai sfiduciato – il rinvio alle Camere, poi impose Draghi per evitare le urne. Il resto lo fece la resa fatale di Grillo, Zingaretti e Speranza al “governo di tutti”, che ingrassò l’unica rimasta fuori: la Meloni. Il replay dell’astuta mossa di Napolitano con Monti nel 2011: Bersani, nei panni dell’Avis, ne sa qualcosa. Ma si continua a confondere la causa con l’effetto: la Meloni rischia di vincere perché c’è stato Draghi, non perché non c’è più. A meno che – siccome al più tardi si sarebbe votato fra 7 mesi – il piano non fosse abolire le elezioni o gli elettori: cioè diventare fascisti per non far vincere i fascisti.
Destra moderata. A furia di leggere che B. è la destra moderata, avevamo finito per crederci. Com’è che ora va a rimorchio dell’estremista Salvini? Ci appassionavano anche le chanson de geste sulla Lega buona dei Giorgetti, Zaia, Fontana e Fedriga, pronti a far fuori Matteo e a darsi fuoco pur di salvare Draghi: chi dovesse avvistarli, chiami Chi l’ha visto?. Notevoli anche la leggende metropolitane sulla destra irrimediabilmente divisa: invece, grazie a Draghi, s’è ricompattata mettendo insieme governisti e antigovernisti in tempo per le urne. Il Pd invece – furbo – scomunica Conte, troppo progressista per i suoi gusti, così da perdere tutti i collegi uninominali in tempo per le urne. Funerarie.
Parte giusta (della Storia). Un pensiero commosso va a Di Maio, che ci ha sin qui protetti dall’invasione russa con le nude mani. Un mese fa si vide costretto alla scissione per nobili ideali “euroatlantisti” e per stare “dalla parte giusta della Storia”. Ora, se Pd o FI o qualche centrucolo non gli danno uno sgabello, rischia di trovarla: la sua casetta di Pomigliano. Farà le boccacce a Putin dalla finestra.

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