giovedì 9 giugno 2022

Grande Pino!

 

Referendum pro impunità nella culla delle 4 mafie
DI PINO CORRIAS
Siamo il Paese delle quattro mafie, un unicum nell’Occidente, con relativo appalto del territorio, controllo sul lavoro e sulle trasversali omertà. Siamo il paese dell’evasione fiscale generalizzata, dell’economia sommersa, dell’“abusivismo edilizio per bisogno” e persino del “contrabbando per necessità”. Il crocevia di armi, droga, prostituzione, traffico di immigrati. E insieme siamo il Paese dove una larga parte della classe politica, non bastando la magistratura a farsi la guerra allo specchio, raccoglie le firme contro l’intero ordinamento giudiziario, provando a disinnescarne un altro pezzo, da conferire al cassonetto della democrazia differenziata.
Ci sarà una relazione tra questi fattori in gioco nel prossimo appuntamento referendario? I volenterosi Radicali, che praticano i diritti civili da una cinquantina d’anni, per amore dell’ideale disinteressato e della bella politica, fanno finta di non accorgersene. O non se ne accorgono per davvero, distratti come sono dal fervore con cui custodiscono il loro passato. La loro battaglia garantista – legittima come ogni altra battaglia, discussa, discutibile; quella per la fine vita ammirevole – si incrocia con tanti altri interessi che con il garantismo non c’entrano un bel nulla. Ma che si mettono in scia, sfruttano l’onda, assecondano per mimesi. Mentre loro guardano altrove, credendosi furbi.
Combattere il lavoro dei magistrati fino a fermare le indagini è uno dei principali obiettivi della criminalità organizzata dai tempi di Lucky Luciano, fino a Riina e oltre. Lo hanno fatto (e lo fanno) con la corruzione, il piombo, il tritolo. Con il depistaggio, la minaccia, il ricatto. Talvolta con alleanze spericolate, ma sempre con il sopruso violento e il sangue a disegnare il punto finale di ogni iniziale intenzione. Per loro ogni indagine è un intralcio. Ogni sentenza, un atto di guerra, con esito mortale.
La politica e i politici che ingaggiano l’assedio al potere giudiziario, agiscono con più decenza. Non sporcano (quasi mai) il pavimento o l’asfalto. Non interferiscono (quasi mai) con i codici. Maneggiano il canestro di parole a loro disposizione, la sintassi delle alleanze, il potere retorico che il loro ruolo consente. E che usano per orientare l’opinione pubblica con la costanza della goccia che cade. Inducendo, giorno dopo giorno, al permanente sospetto che la Giustizia sia sempre esercitata da un inaffidabile giustiziere, specie quando condanna troppo poco lo scippatore che strappa e sempre troppo l’assessore che sbaglia. Che sia scorretto quando rallenta per pigrizia o ignavia l’indagine, il processo, la sentenza. E irresponsabile quando accelera per accanimento. Quando assolve per contiguità politica, o quieto vivere. E quando condanna per ostilità ideologica.
È dai tempi della divisione dei poteri che la politica moltiplica le sue campagne di propaganda contro lo “strapotere senza controlli” della casta togata. Che cavalca con la massima forza possibile, gli errori giudiziari. Che chiede più giustizia per le vittime a ogni assoluzione. E più rigore, più carcere, più severità per gli ordinari colpevoli.
Succedeva ai tempi bianchi della Democrazia cristiana non indagabile. E a quelli forsennati di Bettino Craxi. Succede in questi tempi di deriva berlusconiana, che poi sarebbe la battaglia (provvisoriamente) finale, vista l’anagrafe del principe imputato.
I referendum sono l’occasione da sfruttare. Importa a nessuno – tranne forse ai Radicali e ai 132 avvocati in Parlamento – che siano destinati al senza quorum per naturale oblio delle urne. L’importante è la goccia che scava. Anzi il martello che picchia. Chiamando a raccolta tutti i volenterosi, dietro alle batterie di avvocati, onorevoli, sottosegretari, ministri, ingaggiati da una trentina d’anni a fronteggiare le accuse all’Arcoriano apripista e ai suoi seguaci. Tutti pronti a recitare il copione per quotidiane programmazioni televisive. Tutti disponibili a varare leggi fabbricate per disinnescare i processi, allungarli il più possibile, per poi lamentarsi della giustizia ingiusta che cammina troppo lenta. E finalmente cancellarli. Quando, invece della ghigliottina, ai processi servirebbero assunzioni, computer e la deforestazione delle 100 mila leggi italiane, per restituire loro un tempo ragionevole. Come accade ovunque in Europa, al di là di Chiasso.
Ma non è la ragionevolezza che si va cercando. Semmai il rendiconto per quella lontana interferenza dell’anno 1992 che grazie alle inchieste e ai processi di Mani pulite, trasformò la geografia di quei partiti in una storia di cronaca giudiziaria, diventata una leggenda nera. Non deve più accadere dice lo statuto degli eredi: sarà una lunga guerra di trincea, i referendum sono solo un rinfresco.

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