L’economia medievale
DI MICHELE SERRA
La violenza arcaica della guerra evoca scenari pre-moderni: “medievali”, diciamo un poco approssimativamente, per rendere l’idea dell’edificio del progresso che si sfascia, della Storia che si riavvolge su se stessa. Ma, su tutt’altro piano, che cosa pensare di certi scenari dell’economia finanziaria, che sfuggono totalmente al senso comune democratico, pochissime mani dunque pochissime persone che accumulano un potere pure lui pre-moderno, smisurato, autocratico, e al tempo stesso fragile proprio per la sua smodatezza?
Ho letto due o tre volte — per la serie “non riesco a crederci” — l’articolo di Giovanni Pons sul giovane informatico italiano che ha un ruolo decisivo per la tenuta mondiale delle criptovalute avendo accumulato in Svizzera, in una società privata, dal bilancio non certificabile, 83 miliardi di dollari a garanzia di una stablecoin, ovvero una valuta digitale meno volatile delle altre perché ancorata a riserve monetarie tradizionali.
La materia è così complicata che sono sicuro di averla riassunta male; per metà non ci ho capito un acca, ma l’altra metà basta ampiamente per prendere atto che la più nuova delle attività economiche, con ricadute sulla vita quotidiana e sui bisogni di moltitudini di persone, è governata da una ristrettissima oligarchia tecnocratica.
Poco importa sapere se i pochissimi abbiano prevalso per talento o per destrezza. Importa prendere atto che è un gioco di vertice, di singoli capitani di ventura e di piccole consorterie internazionali.
Medievale, si diceva della guerra. E come definire, invece, questa partita misteriosa e riservatissima, che sembra fatta apposta per alimentare la sospettosa ciancia contro i “poteri forti”?
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