Al governo dacci oggi il nostro bonus quotidiano (del resto chi se ne importa)
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Impazza dunque la battaglia dei bonus, edilizia canaglia, delle truffe, del signor Gino con ventisei ditte di costruzioni e, per dipendenti, il cugino e il cane. Ora è in corso il tradizionale balletto, sei stato tu, no, sei stato tu, e comunque – lo dico come regola generale – se dai dei soldi a qualcuno, un sistema di controlli devi in qualche modo prevederlo. La rogna contabile (i vari bonus, anche senza truffe, succhiano oltre le aspettative e mancano soldi per coprirli) diventa subito una rogna politica. Però fatto sta: i bonus in sostegno al comparto edile fanno 38 miliardi, una bella sommetta. Siccome parlo da Milano, e qui si fa lo slalom tra cantieri, direi che la norma è stata “messa a terra” perbene, e conosco gente tutta contenta perché con la facciata rifatta il palazzo vale di più. Insomma, si vantano con me che con le mie tasse gli ho aumentato il valore della casa. Grazie. Prego. Rimane un retropensiero vergognoso e populista: ma se rifacevano le scuole, per dire, l’edilizia non si metteva in moto lo stesso? Guarda cosa vado a pensare.
Ci sarebbe anche la questione della sicurezza. E qui mi illumina un tweet del ministro del Lavoro Orlando che (10 febbraio) dice: “Tra le misure da adottare in tema di sicurezza sul lavoro dovremmo subordinare il rilascio del superbonus 110% e dei sostegni all’edilizia al rispetto di alcuni requisiti contrattuali”. Eh? Dovremmo? Come, dovremmo, non è già così? Cioè uno può aprire un cantiere, con o senza bonus, e avere operai arrampicati qui e là, ma senza contratto? Dovremmo subordinare… che dovendolo tradurre in italiano diremmo: cadere dal pero. Ora si tenterà con un emendamento, nel decreto correttivo al Sostegni Ter, vedremo, ma la sensazione che si chiuda la stalla quando i buoi sono già andati rimane forte e chiara.
Ma questa è cronaca di questi giorni, che ci mette un attimo a diventare chiacchiericcio, mentre la questione sostanziale, la vera questione politica, trascende il singolo bonus. È che da qualche anno, complice la pandemia e le falle da tappare in emergenza, la politica economica e la politica sociale sono diventate una mappa da gestire e governare a colpi di bonus. A fare l’elenco non ci si crede, e non parlo solo di quelli a sostegno delle categorie in crisi per il Covid. Bene, l’intervento dello Stato come pianificatore e regolatore economico non è niente male, non sarò certo io a lamentarmi. In più, strappa sempre un ghigno amaro vedere tutti i liberisti che allungano le mani verso i sostegni pubblici. I rischi del sistema sono però evidenti: in campo economico la scelta di quali settori favorire a colpi di bonus e quali no, è una valutazione politica, lo si vede oggi a proposito dell’edilizia, ma anche all’apparire del “bonus Terme” se ne era un po’ discusso, e in un anno elettorale rischia di diventare rissa perenne, si vedrà con il tradizionale decreto Milleproroghe. Le norme, le strettoie, le regole, insomma la curvatura di ogni bonus sarà oggetto di trattative, interessi, pressioni. Dall’altro lato – ancora più grave – c’è che la logica del bonus contagia la sfera del welfare e c’è il timore che alimentando questa logica si arriverà ad avere più bonus (da rifinanziare, rinnovare, rivotare, quindi sottoposti ai venti mutevoli della politica) che diritti (fissi e conclamati, uguali per tutti). Ecco, sommessamente suggerirei di pensare un po’ alla faccenda prima che si arrivi al “bonus elementari”, al “bonus analisi del sangue”, magari esultando per la straordinaria conquista.
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