mercoledì 16 febbraio 2022

Leggere per nausearsi

 

L’Ucraina li fa ricchi: i big delle armi esultano
Missili, mine, carri ecc. Le tensioni con la Russia fanno decollare titoli e forniture. Solo quelle Usa valgono 2,7 miliardi Un mercato che non ha patito neanche il Covid
DI GIULIO DA SILVA
I giochi di guerra sull’Ucraina sono già un grande affare per l’industria delle armi. Ancora prima che venga sparato il primo colpo, che ci si augura non accada. Il settore non conosce crisi. Perfino durante il Covid, mentre l’economia mondiale ha rallentato, il Pil di molti Paesi è crollato e, oltre ai morti, sono aumentati i disoccupati, le vendite di armi nel mondo hanno continuato a crescere.
I ricavi delle prime 100 aziende mondiali produttrici di armi e servizi militari hanno raggiunto i 531 miliardi di dollari nel 2020 (470 miliardi di euro), con un aumento dell’1,3% in termini reali, cioè depurando i valori dall’inflazione, secondo i dati del Sipri, l’istituto di Stoccolma di “ricerca per la pace”. L’anno in cui la pandemia ha colpito a fondo “è stato il sesto consecutivo di crescita per le vendite di armi dei primi 100 produttori”, sottolineano a Stoccolma.
Il 2022 per le aziende della difesa è cominciato con il botto. Le minacce della Russia sull’Ucraina hanno mobilitato i paesi della Nato. Il carico di armi e munizioni americane arrivato a Kiev con un Boeing 747 dell’Us Air Force il 21 gennaio è stato il primo di una serie. Ad oggi 17 voli sono già atterrati su 45 previsti per rafforzare gli arsenali. Duemila tonnellate di armi ed equipaggiamenti sono già stati spediti dai vari alleati. Gli ucraini vengono riforniti di lanciagranate, armi per contrastare l’assalto dei carri armati, lanciamissili portatili per sparare a spalla contro elicotteri e aerei a bassa quota.
Tra le forniture ci sono i missili contraerei a corto raggio Stinger, prodotti dall’americana Raytheon, numero uno al mondo nei missili. Segnalato anche l’arrivo di missili anticarro Javelin, guidati a infrarossi, prodotti da una joint venture tra i due colossi americani Raytheon e Lockheed Martin. Si possono sparare da un lanciatore a spalla, sono in grado di colpire un bersaglio a tre chilometri di distanza.
Alla Borsa di New York dall’inizio dell’anno a oggi le azioni dei principali produttori di armi e grandi appaltatori del Pentagono sono salite, mentre il principale indice di Borsa, S&P 500, ha perso il 7,9%. Tra il 3 gennaio e venerdì 11 febbraio le azioni di Lockheed, il primo gruppo mondiale della difesa per giro d’affari, sono salite dell’11,8%, da 354,36 a 396,19 dollari. La capitalizzazione di Borsa è arrivata a 107,9 miliardi di dollari, pari a 95 miliardi di euro al cambio corrente.
Per dare un’idea, il valore di Borsa di Lockheed è più alto di quello dei maggiori gruppi italiani quotati in Borsa, come Enel (64 miliardi) ed Eni (48 miliardi) e banca Intesa (53 miliardi). Nel catalogo di Lockheed ci sono il cacciabombardiere F-35, comprato anche dall’Italia, l’elicottero Black Hawk, l’aereo militare da trasporto C-130. È il velivolo famoso in Italia anche per lo scandalo delle tangenti pagate per l’acquisto di 14 Hercules nel 1971.
Dall’inizio dell’anno le azioni di Raytheon Technologies, secondo gruppo americano e mondiale della difesa, hanno guadagnato il 9,5% e la capitalizzazione ha raggiunto i 142,6 miliardi di dollari, circa 125 miliardi di euro. Raytheon vale più della somma di Eni ed Enel. Il numero tre americano, Boeing, conosciuta soprattutto per gli aerei civili per passeggeri, malgrado sia un po’ appannata dalle disavventure in questo settore e abbia chiuso il bilancio 2021 in perdita per 4,3 miliardi, nel settore militare va benissimo. Le azioni Boeing dal 3 gennaio all’11 febbraio hanno guadagnato il 2,14 per cento. La capitalizzazione di Borsa è pari a 123,8 miliardi di dollari. Nella graduatoria per dimensioni seguono altre due aziende americane, Northrop Grumman, produttrice dei grandi droni Global Hawk, le cui azioni hanno guadagnato il 3,58% e General Dynamics che ha guadagnato il 3 per cento.
Secondo fonti militari dal 2014, l’anno in cui la Russia si è annessa con la forza la Crimea, gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina armi e “assistenza” militare per un valore di oltre 2,7 miliardi di dollari. Solo l’anno scorso gli aiuti militari sono stati oltre 650 milioni di dollari.
Arrivano dagli Stati Uniti anche i lanciagranate anticarro Smaw D (M141). Le bombe possono essere sparate da grossi tubi portati a spalla, sono in grado di sgretolare un bunker. Le forze ucraine hanno cominciato a fine gennaio ad addestrarsi con questi ordigni. Sono prodotti negli Stati Uniti, ma dopo vari passaggi le fabbriche sono finite a un’azienda norvegese, la Nammo, che ha come azionisti lo Stato norvegese e la società di difesa finlandese Patria. Chissà se è una coincidenza, ma dal primo ottobre 2014 è norvegese il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, appena designato come nuovo presidente della banca centrale di Oslo. Nel 2020 la Nammo ha fatto un bilancio molto positivo. I ricavi sono aumentati del 19% al record di 6,035 miliardi di corone (circa 598 milioni di euro al cambio corrente) e gli utili netti sono più che raddoppiati, da 192 a 422,5 milioni di corone, quasi 39 milioni di euro. Sul sito della società appare una foto dell’amministratore delegato, Morten Brandtzaeg, che si compiace per il “successo ottenuto nel 2020”, davanti a un pallet caricato con una dozzina di bombe, pronte per la spedizione.
Gli affari non si fanno solo con le armi spedite a Kiev. La crisi russo-ucraina ha mobilitato un po’ tutte le forze armate occidentali. Ci sono esercitazioni di truppe e impiego di mezzi terrestri e aerei caccia di paesi europei “pacifici”, dalla Gran Bretagna alla Polonia. A Costanza, in Romania, c’è l’avamposto orientale delle forze della Nato. C’è stata anche una missione dell’Aeronautica militare italiana, con quattro Eurofighter andati a supportare la sorveglianza dei vecchi Mig russi in dotazione ai rumeni. La Danimarca ha in corso colloqui con Washington per consentire alle truppe degli Stati Uniti di entrare nel suo territorio dopo decenni, ha sottolineato il Financial Times il 10 febbraio.
Anche le aziende europee di difesa hanno avuto rialzi in Borsa. Dall’inizio dell’anno all’11 febbraio le azioni della britannica Bae Systems hanno guadagnato l’8,4%, Airbus che fa soprattutto aerei civili ha guadagnato il 2%, la tedesca Rheinmetall che produce cannoni e carri armati +14%, la francese Thales che opera nell’elettronica, satelliti e missili +11%, l’italiana Leonardo ha guadagnato il 2,2 per cento. Nella classifica del Sipri dei primi 100 produttori mondiali di armi tra le prime dieci società per fatturato nel 2020 ci sono le cinque americane che abbiamo visto, in testa Lockheed con 58,2 miliardi di dollari, sesta Bae Systems. Quindi tre cinesi (Norinco, Avic e Cetc) e l’americana L3Harris Technologies. Leonardo nel 2020 ha guadagnato una posizione ed è tredicesima, con 11,16 miliardi di dollari di ricavi nella difesa, pari al 73% dei ricavi totali del gruppo guidato da Alessandro Profumo. Tra le prime 100 il Sipri include anche la Fincantieri guidata da Giuseppe Bono, passata dal 54º al 47º posto, con 2,66 miliardi di ricavi nella difesa, il 40% del fatturato totale. Ieri le azioni Fincantieri sono salite del 2,9%, quelle di Leonardo del 4,9 per cento.

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