domenica 27 febbraio 2022

L'Amaca constata

 

Putin c’era anche prima
di Michele Serra
A metà settembre del 2021, meno di sei mesi fa, in Russia si è votato per il rinnovo della Duma (il Parlamento). Il titolo di questo giornale era: “Russia, al via le elezioni parlamentari ma gli oppositori sono in carcere o in esilio”. A cominciare dal più popolare di essi, Aleksej Navalnyj, prima avvelenato dai servizi segreti e poi, scampato alla morte, arrestato.
Due domande. La prima, che rivolgo prima di tutto a me stesso, è quale rilievo mediatico, quale appoggio intellettuale, quale solidarietà politica abbiamo destinato, per lunghi anni, alle tante persone che in Russia, per essersi opposte a Putin, sono entrate in carcere o sono state costrette all’esilio. A parte Navalnyj e, perché facevano spettacolo, le Pussy Riot, non sapevamo nemmeno i loro nomi.
La seconda è come sia stato possibile che governanti e partiti politici europei, specialmente dell’area cosiddetta sovranista, ma non solo, abbiano potuto intrattenere affabili relazioni con Putin, qualcuno indicandolo come una guida per il mondo, senza che questa intesa con un tiranno (se volete un eufemismo, un autocrate) provocasse scandalo o almeno innescasse una discussione politica radicale, profonda, di quelle che si chiamano “valoriali”.
Azzardo una possibile risposta alla prima come alla seconda domanda. La de-ideologizzazione della politica, la sua quasi-riduzione al solo campo dell’economia, ha prodotto una specie di disarmo ideale che ha impedito di dividersi, discutere, infine votare sulle questioni fondamentali: la libertà, la democrazia e la pace prima di ogni altra. Il risultato è che solo il rumore dei cingoli e delle bombe ha aperto gli occhi degli europei su Putin. E non è una frase polemica. È una triste constatazione.

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