mercoledì 13 ottobre 2021

Un ottimo Robecchi

 

Gli storici in tv Dopo la scorpacciata di virologi, magari spiegano il fascismo
di Alessandro Robecchi
Coi virologi abbiamo dato, e se cominciassimo con gli storici? Intendo: se in ogni telegiornale, talk show, siparietto divertente, angolo delle interviste, documentario e Carosello, invece di un esperto di pandemie ci mettessimo qualcuno che ha studiato seriamente il famoso Ventennio? Ok, abbiamo fatto per quasi due anni una straripante, strabordante, spannometrica, lezione di virus. In tram senti signore che parlano di memoria cellulare o di affinità e divergenze tra AstraZeneca e noi, bene. Passiamo alla nostra storia, che ne dite? Ed ecco a voi il primario di Storia Contemporanea…
Se ci allontaniamo un po’, come prospettiva, dalla sede della Cgil di Roma (massima solidarietà) e vediamo le cose più ad ampio spettro, di lezioni di storia ne servirebbero un bel po’. Il discorso di Giorgia Meloni in Spagna, per esempio, ci rivela una folta platea sinceramente e devotamente franchista, dittatura molto amata dai fascisti nostrani della generazione Almirante, come anche i colonnelli greci (è gente che non si fa mancare niente, gli piaceva anche Pinochet). In Francia si litigano la palma di re della destra, in vista dell’Eliseo, madame Le Pen e monsieur Zemmour, come dire fascio e più fascio. Non va meglio nel resto d’Europa, sia a livello di governi (l’Ungheria di Orban e la Polonia che insegue), e non c’è paese che non abbia una formazione parafascista, fortemente nostalgica, a volte rappresentata alle elezioni; a volte dispersa in una galassia semiclandestina di gruppetti con la svastica tatuata su fronti “inutilmente spaziose”.
Se ne deduce che il “non conosco la matrice” (delle azioni squadriste di Roma, ndr) di Giorgia Meloni è un trucchetto ancor più patetico di “voglio vedere tutto il girato”. Quella matrice lì, con le croci celtiche, le svastiche, i boia chi molla e tutto il campionario, la riconosce anche un ripetente di seconda media, dunque quella della Meloni è una provocazione.
Detesto i paralleli storici, anche perché le cose non sono mai parallele, ma pensare che siamo nel 2021, cioè a un secolo esatto da fatti che somigliano a quelli di oggi, con gli arditi che attraversano indisturbati una città per andare a devastare la sede sindacale, beh, qualche brividino dovrebbe metterlo. Quindi uno storico ospite qui e là che ci dicesse come si arrivò a quella situazione, perché, come mai, quali furono le molle sociali, economiche, ideologiche, insomma, che ci faccia un ripassino, non sarebbe male. Magari che smonti il diffuso luogocomunismo fascista del “ha fatto anche cose buone”, o le agghiaccianti nostalgie repubblichine tanto in voga. Magari ci spiegherebbe – il nostro ipotetico storico diffuso – che il vittimismo era parte consistente nella costruzione del primo fascismo, e non sarebbe difficile ritrovare quel tratto nella difesa dei gerarchi di FdI e della Lega e nei titoli dei giornali della destra. Passare per vittime, insomma, è un tratto distintivo, e la vulgata di destra di questi giorni lo conferma. Non si tratta di cercare analogie, che è un giochetto facile, ma di individuare – appunto – la “matrice”, che è un imprinting ideologico. Giorgia Meloni non sa, o forse ha capito dopo, di aver dato un titolo perfetto al dibattito, e forse non troppo conveniente per lei. Perché se si cercano gli arditi, eccolì lì, già noti alle cronache, i Fiore, i Castellino, facile. Ma se si cerca davvero la matrice, la struttura ideologica, il dna storico-culturale, beh, si scopre facilmente che quello è l’album di famiglia di Giorgia, che la matrice è nota

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