sabato 4 settembre 2021

Il giorno e la Storia

 


Ogni giorno su Rai Storia una rubrica eccellente - Il giorno e la storia - agevola in sinapsi accostamenti e approfondimenti utili per comprendere, per capire, per dimensionare la nassa in cui siamo caduti, causa menefreghismo culturale, attorno al giudizio sulle vicende storiche, a volte storpiate, liofilizzate, addomesticate in nome della famigerata, perché edulcorata, "libertà"

Prendiamo oggi, 4 settembre: due episodi, tra loro lontani, fanno emergere quello che a volte s'avverte, in special modo oggi, attorno all'impalpabile imperialismo americano, alla sua dannata smania di controllo, di dittatura soft mascherata in democrazia, di fobia attorno agli staterelli che, poveri creduloni, pensavano - pensano - penseranno, alla propria autonomia. Male comune questo, delle grandi potenze, basti pensare a Cina e Russia. Ma al contrario delle stelle e strisce, almeno gli altri non si ergono a baluardi della democrazia. 

Ed oggi ecco spuntare due grandi figure: Geronimo, capo assoluto dei natii Apache, che il 4 settembre 1886 appunto, si arrende al generale Nelson Miles, dopo anni di battaglie, di aggressioni, di spietata violenza in nome di quel tipo di liberà che prevedeva - prevede - prevederà che i diritti dei più deboli debbano necessariamente essere immolati in nome del bene comune, dei gargarismi gutturali convincenti masse circa le insane trasformazioni di violenza in bontà, e chissà perché istantaneamente m'aggradi accostare le vicende di Geronimo alle benamate "missioni umanitarie" degli ultimi decenni, dove "premi nobel" all'Obama, o sguatteri dell'oil alla Bush, per arrivare sino al Biondastro e al sonnecchiante zio Joe, in nome della Pace compirono e compiono scempi, devastazioni e, ahimè, migliaia di morti, e qui ci metto dentro pure gli sfigati dei cosiddetti "effetti collaterali", piccole increspature tecnologiche sterminanti bambini ed inermi. 

Geronimo combatté per la libertà, per le proprie terre, per il sacrosanto diritto universale di esistere. Ma sia Hollywood, John Wayne su tutti - e io che pure lo ammiravo ai tempi! - con la becera propaganda degli indiani cattivi, che la creduloneria, il convincimento popolare, ne agevolarono l'ecatombe, la prigionia dentro spazi imposti - le chiamarono, tentando di farle apparire concessioni umanitarie - riserve, che accosto alle tremebonde Strisce di Gaza con i coloni tra i coglioni a rompere gli zebedei degli oppressi - agli indiani d'America. 

E sempre il 4 settembre del 1970, inopinatamente, inaspettatamente, Salvator Allende diventa leader del Cile grazie al voto, libero, del popolo; il primo presidente di uno stato dell'America del Sud apertamente marxista, con una visione speciale su diritti e doveri dei popoli, nemico delle ribalderie capitalistiche, uomo dei sogni per molti, ancora oggi.

Il fato, perennemente bastardo, volle che sul trono a stelle strisce, fosse insediato uno dei binomi peggiori dei peggioro imperialismi: Nixon - Kissinger, ovvero tutto quello che la politica non dovrebbe fare per buonsenso, spessore e ricerca del bene comune. 

In tre anni Allende, per mano statunitense, fu annientato e sostituito da uno dei peggiori bastardi degli ultimi secoli, Augusto Pinochet - a proposito: se a quel tempo ci fosse stato l'Argentino, col piffero che si sarebbe affacciato assieme a quel fascistone benedicendo pure la folla! E oggi tremo per la visita di Francesco in Ungheria: non affacciarti con Orban, Francesco! Fallo per noi! - Augusto Pinochet: un generale che Allende aveva scelto dopo il primo tentativo di golpe andato all'aria, e che gli aveva giurato fedeltà, tradita in quattro e quattr'otto come il manuale del buon fascista suggerisce. 

Salvator Allende allorché comprese che sarebbe finito nelle mani del tiranno agevolato del duo mefitico statunitense, preferì il suicidio dentro il palazzo presidenziale piuttosto che finire nelle mani del fascistone cileno. 

Accadde tutto il 4 settembre, ma lo scempio continua quotidianamente, in nome della libertà democratica. A stelle e strisce.  

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