Trattativa: il colpevole è il Fatto, ora B. al Colle e laticlavio a Dell’Utri
Sono (quasi) tutti innocenti
di Daniela Ranieri
“Non c’è stata nessuna trattativa. Menomale che c’è stata, perché le stragi si sono fermate. Mori ha fatto bene a farla”. Le tre asserzioni, che per logica e buon senso si escluderebbero a vicenda, sono in genere fatte dalla stessa persona; sono fasi successive del discorso tipico dei negazionisti decennali della trattativa Stato-mafia. Neanche adesso che la sentenza ha confermato che la trattativa c’è stata, e condanna i mafiosi per averla fatta – ma non i carabinieri e i rappresentati delle Istituzioni che ne erano l’altro referente – riescono ad ammetterlo. Poi, sì, lo ammettono (il nichilismo spezza il principio di non contraddizione: tutto è vero, se tutto è falso), e sbeffeggiando onore e dignità costituzionali lo rivendicano. Indi tirano in ballo la figlia di Borsellino (“Processo pompato”), ma stranamente non il fratello (“Paolo morto invano”). Poi citano Sciascia a caso. L’ultimo è stato Sallusti a Otto e mezzo, interloquendo con Travaglio, il quale Travaglio non era solo ospite, ma intestatario del titolo della puntata: “Stato-mafia: davvero ha perso Travaglio?”, che a quanto pare nel processo era pm o co-imputato. Che non ci fu trattativa lo asseriscono tutti i talk show (“La trattativa che non c’era”, Omnibus), i giornali (“farsa”, “boiata”) e naturalmente, figuriamoci, i tweet dei politici, accorsi a frotte a esultare per l’assoluzione di Dell’Utri (e per la condanna de facto di Travaglio).
Sapevamo che per Forza Italia una condanna per mafia o altri reati gravissimi è una skill del curriculum, ma colpisce il giubilo con cui è stata accolta nei media l’assoluzione di Dell’Utri, che non era non esattamente un garzone di Arcore, ma un senatore della Repubblica giudicato responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa in un altro processo, dunque un traditore dello Stato. C’è una parte d’Italia, quella di studi raffinati, di cultura garantista e di scuole alte, per la quale Dell’Utri è primariamente un bibliofilo; un’altra che ricorda che al momento della notifica della custodia cautelare egli era latitante in Libano (che fosse esule pure lui, come Dante e Craxi?), che l’ha beccato l’Interpol rintanato dentro un hotel, che era in possesso di una valigetta con 30 mila euro in banconote di piccolo taglio, etc. La gioia è incontenibile. Oggi i colpevoli sono i giornalisti che se ne sono occupati, nell’ambito del loro lavoro e non gratis, come ci si dedica a un hobby (Enrico Deaglio su Domani dice che “la narrazione” della trattativa ha fatto “il successo di Travaglio”): cioè, non si doveva parlare di un processo che coinvolgeva organi dello Stato e corleonesi, e in cui un ex senatore veniva condannato a 12 anni in primo grado insieme a generali del Ros per minaccia a corpo politico dello Stato.
Non sospettavamo che la pagina di auguri sul Corriere di qualche giorno fa (“auguri caro Marcello”) avesse tanti sostenitori (o concorrenti esterni) nei media, sebbene sui politici non avessimo dubbi (chissà se esprimono una solidarietà tra senatori o tra indagati). Renzi, che negli anni si è guadagnato un ruolo di bussola morale del Paese (basta pensare il contrario di quel che lui dice e si è sicuri di stare nel giusto e nel vero), ha scritto: “Nel frattempo, una sentenza della Corte di Appello di Palermo ha stabilito… che il super celebrato delitto nel rapporto tra Stato e Mafia non c’è mai stato… Ha vinto il garantismo, ha perso chi come Travaglio faceva gli spettacoli dal titolo È stato la mafia. In questo paese contano ancora le sentenze e non gli influencer. Viva la Giustizia, viva la Repubblica”.
Poveretto, non ridete. Il “rapporto tra Stato e Mafia” (sic) c’è stato, concede, ma è bellissimo che non sia un delitto: avercene! Quanto al garantismo, sapete che è una sua ossessione: ogni volta che assolvono qualcuno lui pensa che si affievoliscano un po’ anche i motivi delle indagini a carico suo, dei suoi cari, di Lotti, Boschi, Bianchi etc. È come se ogni volta che un processo finisce con una assoluzione anziché con una condanna si avesse la prova che i magistrati complottano (esclusi naturalmente quelli che davvero complottavano con Lotti, ormai assurti a maître à penser), che i processi sono influenzati da Travaglio (ma solo fino all’Appello) e che lui è un perseguitato politico (“Dopo aver parlato della Procura di Firenze mi sono arrivati due, non uno, avvisi di garanzia”: poi gli autori di “teoremi” sono gli altri). Tutto è bene quel che finisce bene. Evidentemente i “garantisti” si sentono rassicurati di vivere in un Paese in cui uno o più carabinieri possono di loro iniziativa fare accordi con la mafia a nome dello Stato senza che la cosa sia considerata un reato, anzi: “Bisognerebbe dargli una medaglia” (Sallusti). Proposta: Berlusconi (indagato per le stragi di mafia) presidente della Repubblica, Dell’Utri (e Mori, come propongono il Riformista e Salvini) senatori a vita, Travaglio in galera (come) in Arabia Saudita, istituzione della Giornata del ricordo delle vittime della Magistratura, improcedibilità cartabica anche per i reati di mafia, e di questa storia non se ne parli più.
Nessun commento:
Posta un commento