martedì 18 maggio 2021

Tristezze invereconde

 


In Alloccalia accade anche questo, purtroppo! Piena solidarietà ad Ornella 

“Denunciai la casta sarda, me la fanno pagare ancora oggi”
di Andrea Sparaciari
Grazie a lei l’Italia nel 2005 ha scoperto centinaia di consiglieri regionali che depredavano le pubbliche casse, pescando a piene mani nei rimborsi dei gruppi consiliari. Un fiume di denaro che per anni, da nord a sud, defluiva sistematicamente nelle tasche degli eletti senza che nessuno avesse mai detto “beh”. Poi è arrivata lei, Ornella Piredda, all’epoca funzionario del Consiglio regionale della Sardegna, che “beh”, invece, l’ha detto. E ha scoperchiato il vaso di Pandora. Ha portato alla luce quanto accadeva alla Regione Sardegna, dove i consiglieri, non solo non rendicontavano alcuna spesa, ma ricevevano anche 2.700 euro mensili a testa a copertura delle spese extra. Una sorta di secondo stipendio che andava ad affiancarsi ai 15 mila euro mensili che già percepivano. Una prassi che Ornella ha denunciato, facendo partire le indagini della Procura di Cagliari, prima, e di quelle di mezza Italia, poi. Vennero così alla luce sottrazioni per centinaia di milioni in tutto il Paese. Solo in Sardegna sono 120 i consiglieri finiti sotto indagine. Alcuni sono già stati condannati, altri sono impantanati tra i vari gradi di giudizio di un iter che non è andato certo spedito, considerando che i fatti risalgono alla 13ª legislatura (2004- 2008) e alla 14ª (2009- 2014) della Sardegna. La prima tranche dell’inchiesta ha comunque portato alla recente condanna di una ventina di ex-consiglieri, con pene tra i due e i sei anni. Un processo il cui cardine è stata la testimonianza di Ornella.
Un atto di coraggio civile che la funzionaria ha pagato carissimo: prima il mobbing, poi il demansionamento, infine l’ostracismo. “Le istituzioni mi hanno dimenticato, come la magistratura dopo il processo. Le forze politiche invece non mi hanno mai appoggiato”, racconta al Fatto. Oggi vive grazie a una pensione strappata con un prepensionamento per inabilità totale e permanente – la maculopatia l’ha resa quasi completamente cieca –, ottenuta mentre Regione Sardegna tentava di licenziarla per le troppe malattie inanellate e “grazie all’aiuto di cittadini, amici e sconosciuti, che mi sostengono”.
Ornella, alla luce della sua condizione attuale, rifarebbe quelle denunce?
Sì, ma non perché sia convinta che qualcosa possa cambiare. Ma per la mia indole e la mia educazione. Se vedi un bambino che annega, ti tuffi. Anche se i prezzi pagati sono stati tanti e mi sento logorata.
Cosa l’ha ferita di più?
Vedere la persona che più mi ha vessato quando ero in Regione, che mi ha maltrattato e che poi è stata giudicata colpevole di peculato nei tre gradi di giudizio, che gira libera per strada. E che non ha mai pagato per quanto ha fatto.
A un certo punto è stata una bandiera del M5S, la whistleblower per antonomasia, poi?
Sono stata masticata e sputata dal M5S. Un movimento al quale credevo e che avevo abbracciato dal 2009. Alcuni parlamentari hanno deciso che facevo loro ombra, hanno temuto la mia involontaria visibilità.
Recentemente è stata anche condannata per diffamazione nei confronti di una ex europarlamentare M5S, Giulia Goi. Una condanna in sede civile piuttosto pesante.
Sì, per un post su Facebook sono stata condannata a risarcirle 6 mila euro (8 mila con le spese) per danno d’immagine… È la sesta causa che perdo in Sardegna, diciamo che con la magistratura non ho un buon rapporto, adesso. La prima sentenza penale ha portato alle condanne per il peculato, ma non ha riconosciuto i maltrattamenti nei miei confronti. Ora il “mostro” me la sta facendo pagare, tanto che ho dovuto vendere la casa perché non riuscivo a pagare il mutuo.
E oggi come vive?
Con una pensione contributiva e con l’aiuto di amici e sconosciuti indignati che mi dicono: ‘non è giusto che tu debba vivere in queste condizioni’.
Ma nel “palazzo” non l’ha appoggiata nessuno?
Nessuno. Anzi, prima che esplodesse l’inchiesta penale, quando chiedevo spiegazioni sul posto di lavoro ai miei capi – perché sono una gran rompicoglioni –, mi hanno prima tolto lo stipendio, poi demansionata, quindi mobbizzata. Mi hanno messa la scrivania in uno sgabuzzino, senza telefono… Poi mi hanno trasferita. Infine, hanno tentato di licenziarmi per i troppi giorni di malattia accumulati. Per fortuna sono riuscita ad andare in pensione.

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