giovedì 29 aprile 2021

Chapeau!



EXPOD’ARABIA
Miracolo a Dubai: la copia del David è un’“opera nuova”
MICHELANGELO? - NARDELLA E LA STATUA DI RESINA

di Tomaso Montanari

“Firenze ha la vergogna di essere una di quelle città che non vivono col lavoro indipendente dei loro cittadini vivi, ma con lo sfruttamento pitocco del genio dei padri e delle curiosità dei forestieri. Non vivete per voi stessi la vita di oggi, ma siete continuamente occupati in questo ignobile esercizio: levare i quattrini dalle tasche degli stranieri, facendo loro vedere i rimasugli dei vostri celebri defunti. Se volete essere come i vostri padri, dovreste imitarli meglio: lavorare per arricchire e aiutare la nuova arte che sorge, invece di rabberciare e sfruttare quella passata, che ormai è morta e sepolta nei musei”. Sarebbero queste parole (pronunciate dal fiorentino Giovanni Papini nel 1913) la didascalia perfetta per la copia in scala naturale del David di Michelangelo che il ministro degli Esteri Di Maio e il sindaco di Firenze Nardella hanno appena recapitato all’Expo di Dubai, affogandola in un’imbarazzante orgia di retorica in cui la frase più sobria recita “la sua immagine contribuirà alla rinascita dell’Italia”. D’altra parte, non era facile per Nardella essere all’altezza del predecessore, che ha appena venduto un Nuovo Rinascimento ai vicini dell’Arabia Saudita (in cambio di un modesto appannaggio annuo).

Ma il sindaco purtroppo non si è fermato qua, rivelando a una folla attonita che “il segreto (del David) è la luce interiore: il segreto dell’anima, una bellezza spirituale che riveste il corpo atletico e che trascende l’umano e che rifugge anche in questo gemello, forse una nuova opera”. Ed è un vero peccato che gli arabi non abbiano potuto apprezzare le fonti del geniale pastiche rappresentato dalle parole del coltissimo sindaco: un po’ Mario Luzi, un po’ dottor Armà (l’indimenticabile mercante d’arte televisivo creato da Corradi Guzzanti). Il culmine è certo nel finale, dove una copia in resina rivestita di polvere di marmo (la versione monumentale dei souvenir che infestano Firenze: un oggetto kitsch che Michelangelo avrebbe distrutto a martellate con terribile sdegno) assurge al ruolo di “opera” – ma solo “forse”.

Non pago, il primo cittadino della povera Firenze ha aggiunto un finissimo affondo iconologico: “Michelangelo volle eliminare da quella statua tutti i simboli della violenza”. Dove ci si chiede cosa Nardella pensa che sia l’oggetto che il David sorregge con la sinistra (che è la fionda con cui uccide Golia): forse un rotolo di carta igienica?

Ma la censura della violenza inseparabile dall’intenzione originale di questa statua potrebbe avere una ragione più seria: potrebbe perfino rappresentare un freudiano ‘ritorno del represso’. La psicologa dell’arte Miriam Mirolla, infatti, ha notato come “portare il David di Michelangelo a Dubai, un nudo di 5 metri, sia l’ennesimo atto di noncuranza nei confronti di una cultura in cui lo sguardo e la rappresentazione del corpo sono tabù”. In effetti, proprio mentre si dichiara (in modo del tutto gratuito, arbitrario, antistorico) che il David sarebbe un manifesto contro ogni violenza, si compie la (piccola ma fastidiosa) violenza di imporre agli arabi un’immagine clamorosamente incompatibile con la loro sensibilità culturale. Sono gli incidenti che succedono a chi pensa di servirsi di storia, arte e cultura senza conoscere storia, arte e cultura. La scelta più sensata sarebbe stata quella di commissionare a qualche giovane artista italiano un’opera capace di mostrare che la nostra cultura non è una stella morta che continua a brillare: laddove c’è invece qualcosa di malato (qualcosa di morto) nel farci rappresentare dalla copia di un’opera di 500 anni fa. E una delle conseguenze è proprio l’incapacità di guardare al presente, di dialogare davvero con le altre culture, di aprirsi allo scambio e alla diversità. L’incapacità di ascoltare l’altro e di mettersi in gioco, invece di continuare ad affermare perentoriamente una identità immutabile, buona per tutte le latitudini e tutte le occasioni – un’identità, peraltro, mille volte e in mille modi rinnegata e tradita.

Proprio a causa dell’ostruzionismo di Renzi e Nardella, i musulmani a Firenze non hanno una moschea in cui pregare: perché un minareto avrebbe turbato la cartolina del Rinascimento di cui parlava Papini. Ora, finalmente, pare che il Comune si stia dicendo possibilista: ma se verrà applicata la stessa logica con cui si è portato il gigante nudo a Dubai, c’è da aspettarsi che il sindaco chieda all’imam di decorare la moschea con un crocifisso: copia di quello di Michelangelo, ovviamente.

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