L’amaca
Il problema dei biondi
di Michele Serra
La gongolante volgarità con la quale Trump continua a chiamare "Chinavirus" il Covid fa il paio con la spocchia isolana di Boris Johnson quando attribuisce i molti morti britannici all’ "amore per la libertà", lasciando intendere che le restrizioni sanitarie vanno bene per popolini di tempra inferiore (noi italiani, per esempio).
Se fossi al bar direi che non esiste essere umano più razzista di un maschio bianco anglosassone, soprattutto se biondo, ma in questa sede sono tenuto a non dare il peggio di me stesso e dunque cerco di dirlo meglio.
L’imperialismo economico esiste ancora (la City maneggia una fetta enorme del capitale finanziario mondiale), ma l’imperialismo politico è morto, e ha lasciato degli orfani.
L’idea che esista un mondo non sottomesso, i cui destini non sono riconducibili all’esito del Superbowl o alla regina Elisabetta, la cui natura non corrisponde all’impronta imperialista prima inglese e poi americana, e neppure corrisponde all’impronta post-imperialista prima inglese e poi americana (c’era dell’altro prima e ci sarà dell’altro dopo) è qualcosa che nella sostanza ancora non è accettato da quelli come Trump e Johnson. L’anima della Brexit affonda anche in questo superiority complex anglosassone. E l’asse Londra-Washington, così anacronisticamente antieuropeo, è figlio della speranza (demente, se posso dire) che il mondo possa ancora obbedire, e per sempre, a un’isola dell’Europa settentrionale e alla sua ex colonia di oltreoceano. C’è un resto del mondo (circa il novanta per cento dell’umanità) che sfugge, anche per banali ragioni numeriche, a questo calcolo. Ma nessuno lo ha ancora spiegato ai maschi anglosassoni biondi.
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