Ahò che te serve?
Avrei voluto non dir nulla per godermi il ferragostano riposo, ma il coro degli inani sulla decisione della sindaca Raggi a ricandidarsi, impone un commento sfanculante l’immarcescibile establishment, rosicante e fuori dalle stanze del potere della capitale. Gasparri e la Sora Cicoria ad esempio che latrano sulla norma pentastellata di chiudere l’impegno politico dopo due mandati: nulla di più becero da parte di chi da tempo immemore vive e vegeta col fancazzismo arzigogolante. La sindaca ha dovuto spezzare le catene dell’affarismo alla “ahò! c’ho un amico che ha un amico che conosce er cugino dell’assessore”, metodi che permettevano a pochi di raggranellare soldi pubblici con facilità scorcertante, con assunzioni ad minchiam tipiche dell’era Alèdanno, continuate dai diversamente pidini capaci di andare dal notaio per scrollarsi di dosso Marino e quell’inizio di aria fresca deturpante progetti comuni di amici trasversali uniti dal comune impegno tecnorapto. La sindaca Raggi ha dunque compiuto con immane fatica quella disinfestazione i cui effetti si vedranno negli anni a venire, ed è giusto che sia lei a gustarne i benefici, mentre il triste pollaio degli indicanti il dito invece che la Luna, rancorosamente sta tentando di inabissarla per poter riprendere la catastrofica sequela del diabolico “ahò che te serve?”
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