martedì 18 febbraio 2020

Frenetico commento


A me piace, intriga, sciocca, invaghisce, frizza, estrapola, soggiace, estasia, annichilisce, scongela. Non so a voi. Quindi se v'aggrada ecco il pensiero di Aldo Busi sulla serie di Sorrentino. Oh! E' gratis!


“The New Pope”: un’Apocalisse alla portata di tutti"

di Aldo Busi  
“Le mie prime cinque puntate con suggerimento finale”
Ho visto le prime cinque puntate di The New Pope di Sorrentino, della serie precedente non avevo guardato un fotogramma, non gli davo uno sputo, non guardo le serie, i fantasy, il calcio, i cuochi, i reality (se mi capita, preferisco farli, la gente mi chiede se “è tutto vero”, io rispondo “non saprei” per tenerezza a tanta ingenuità di ricezione del mezzo per adesione intera, a francobollo, l’unica cosa che abbia mai visto dei programmi a cui ho preso parte, pagato, è se era arrivato il bonifico); mi stuccano a morte i Segreti, i Misteri, i Familismi pomeridiani in cui gli ospiti promotori di un loro gadget… libretto, dischetto, filmetto, spettacolino… per vendere devono vendere la loro vita privata spesso inventandosene una sui due piedi; mi ripugnano i programmi che distribuiscono soldi e oroscopi; mai vista una sola puntata sul commissario Montalbano, sulle Amiche geniali (a dar credito ai trailer, di certo superiore alla sbobba cartacea cui si ispira la serie), le Gomorre (che d’istinto, spostandomelo in verità per grattarmelo, chiamo Gonorree, anche se non ne prendo una da trentacinque anni, bella forza, e non ne vado fiero); inoltre io esigo dai presentatori una pronunzia secondo lo standard ancora non pervenuto ma già codificato dal senso comune, una pronunzia senza birignao dialettale, come sento la calata napoletana, lombarda, toscana e in particolare romana cambio canale ovvero spengo (Propaganda Live su La7, mio tempo di sopportazione: tra i due e i quattro minuti, fatali comunque); ho cercato strenuamente di guardare il Festival di Sanremo ma o cantavano o arrivavano Fiorello e quell’altro presentatore, quello ufficiale, e le belle a stampino che facevano un passo avanti e pertanto gli veniva concesso di dire i nomi delle canzoni, degli autori, dei direttori d’orchestra, delle nonne e l’abbiocco è stato quasi immediato sera dopo sera (però ho saputo dalle prime pagine dei giornali, debitamente online, che alla fine due uomini hanno mimato un bacio e che c’è stato un premiato, ma non so chi dei due); sono insensibile ai troni di spade e ai maghetti – mai letta una pagina sul Potter, mai vistone un adattamento cinematografico –, credo che gli preferirei i tronisti e le ursine frittate col cuore, almeno uno spiraglio sul Paese reale te lo forniscono e talvolta più stringente (…) dei battibecchi dei talk show coi soliti quattro fritti e rifritti saltati in padella, e sono contrario a qualsiasi tipo di abbonamento televisivo extra, con tutta quella pubblicità già mi sembra un abuso intollerabile il canone Rai; in sintesi: non provando alcuna curiosità visuale a parte per i video su YouTube inerenti la fonetica dei vari tipi di Inglese e di Tedesco e un po’ di pornografia sia gay che etero per farmi passare, da secoli, ogni velleità di rimettere il naso fuori dalla porta per timore che mi possa capitare qualcosa di simile per strada (e anche per il terrore che possa riprendermi la produzione di sperma, mi mancherebbe pure quest’altra pugnalata alle spalle); insomma, non avrei il tempo per rientrare in minima parte della spesa di un abbonamento extra muros o extra moenia che sia.

Già, la chiavetta con le prime cinque puntate piratate di The New Pope – portatami a tradimento da un conoscente al quale non ho avuto la crudeltà di dire di portarsela pure via subito – è rimasta lì sul tavolo non so quanti giorni, io nemmeno so come si fa a scaricare chiavette di questo tipo, la mia conoscenza del computer è scientemente ridotta e siccome è via via sempre più ridotta rispetto alle costanti evoluzioni della tecnologia informatica, sempre maggiore diventa la mia autostima; social, poi, nemmeno a parlarne, se volessi fare un incubo davvero contemporaneo sarebbe destarmi di soprassalto per scacciare il sospetto di avere visto fare capolino nei labirinti orfici un like, un tweet o peggio ancora un follower, roba da disgraziati assoluti alienati a sé e al mondo il cui unico pregio sociale è che la propria camicia di forza se la pagano di tasca propria e se la insozzano e se la lavano a vicenda, anche se poi un pericolo lo corriamo tutti noi che di quella desolata landa dell’Azoospermia per lui e del No squirt per lei non facciamo parte, perché talvolta, per fortuna raramente, questi invasati qua dal cervello fumante di libidini represse e ipocrisie scatenate e odio (per se stessi, ovvio: e ben glista) escono di casa – e non si sa mai come va a finire se per caso li incroci sul tuo cammino.

Poi, a forza di trafficare, il 16 febbraio, sono riuscito a installare la chiavetta nel computer e, alleluia, ho visto le prime cinque puntate di The New Pope. Di fila, saranno un cinque ore con le minzioni d’obbligo: mai visto niente di più istrionico, incantatore, affascinante e scritto… da veri maestri del cinema, autoriale e sperimentale senza fartelo pesare un solo istante… dai tempi di A qualcuno piace caldo e Pulp Fiction; ho ammirato la tessitura puntigliosa, sfuggente solo in apparenza, ogni dettaglio della quale, prima buttato lì, ritorna con un suo inaspettato rilievo, e anche le storie collaterali sono intriganti, con talune comparse che si rivelano nello svolgersi degli eventi sempre più protagoniste; una Venezia fotografata come non ricordavo da anni, di sfuggita, monumentale eppure evanescente, niente di documentar-turistico, splendidi i costumi, mai un anacronismo in un siffatto e gigantesco arazzo pieno di perle forse comiche forse no (vi è citata tale Meghan, al momento, 2025, amante del candidato nuovo papa di origini anglosassoni, ennesimo colpo di genio con vigliaccata incorporata degli scaltrissimi sceneggiatori), deliziose le musiche da birichina messa rock e da urlo i testi delle canzoni (ah, che ritmico incanto ormonale quella voce, solo per caso femminile, che di sé sussurra “I am a good time girl”!), e gli attori e le attrici principali –che sono parecchi e a pari merito di bravura e parimenti cruciali per la trama – magistrali, coerenti al ruolo senza un inciampo o una distrazione fuori registro.
Dapprima ho rimpianto che la versione datami non fosse in originale ma poi ho concluso che solo la lingua italiana poteva conferire a quei dialoghi dalla cifra sadiana la leggera, ironica, drammatica con mondanità e inverosimile, retorica ampollosità che gli ingenui presuppongono nella bocca degli aristocratici (tali se anche della Finanza) e dei potenti, cardinali e papi in primis, che poi tra di loro nella vita di tutti i giorni (lo so per esperienza, papi esclusi) parlano invece con la medesima aulica finezza dell’ultima zoccola di Borsa e di sagrestia (tanto l’una è l’anticamera dell’altra).

Purtroppo, l’opera è talmente artistica che invera il dogma inconfutabile secondo cui non esiste pubblicità negativa: invece di attivare un sano e radicale anticlericalismo busiano, anche la bellezza mozzafiato, ancillare ma necessaria, degli scenari paesaggistici e degli interni contribuirà quanto la romantica, ormai fantascientifica morbosità erotica dei credenti a ingrossare le file non solo dei fedeli al botteghino di Sorrentino, nuovo Papa della cinematografia mondiale, ma all’Elemosiniere universale della Chiesa tout court (non si registra qui negli amplessi tra cottage, camerate di suore di clausura, alcove rinascimentali e glory hole fatti si suppone nella sistina, giustappunto, Cappella, alcun calo del desiderio sessuale tipico della modernità rassegnatamente distopica, tanto pristina e surreale resta la potenza simbolica d’attrazione delle umane carnine in copione, le donne sono ancora attratte dai maschi e i maschi da chiunque come ai tempi di quando Berta filava, ridicoli finché si vuole ma beati loro, del resto i film migliori sono fatti per dar da sognare a chi non può permettersi altro, sono esche per una penultima piccola morte prima di tirare gli ultimissimi).

Aspetto con allegria – e parecchia gioia della mente estetica – le altre quattro puntate e ho scritto questo articolo, immoralmente gratis, quale “grazie” dovuto a tutti quanti hanno contribuito a questa opera d’arte che riordina il caos psicotico delle umane e gementi genti che stanno sopra e che stanno sotto in una cornice di struttura ferrea eppure evanescente per i prodigi della forma e le sinapsi di sostanza che regala di attimo in attimo.

Poi, se uno particolarmente colto… cioè graziato dalla coazione a proiettare sullo schermo ciò che nell’opera non c’è… volesse vedere il sequel come un neutro documentario degno di un definitivo Museo di storia naturale, perché no?

È un’apocalisse alla portata di tutti, non è l’Apocalisse, e purtroppo nemmeno la accelera: Sorrentino, fin troppo ontologico e terzo a se stesso, dice semplicemente e poeticamente come stanno le cose e soprattutto fa il punto dell’ancestrale, sciagurata e sempiterna Propaganda Fide, solo che è punto dalla vaghezza di dirlo con una maestria, e angelica innocenza di fondo, come nessun altro sarebbe capace.

Un’ultima annotazione non secondaria alla mia gratitudine.
Di solito vedo una cosa di un’ora e mezzo e dopo dieci minuti non ricordo niente: The New Pope, anche se non è dato vedere un Compasso e una Squadra che facciano le veci delle briciole di mollica nella fiaba di Pollicino, è una festa della memoria, l’imbuto inarrestabile dell’oblio si è capovolto e a distanza di ventiquattro ore da quando ho chiuso il computer e tolto la chiavetta mi rivedo e passo in rassegna le inquadrature che voglio, come voglio e quando voglio, le scelgo addirittura.
Ricordo tutto, e lo ricorderò a lungo.
P.S. E, caro Sorrentino, a quando una serie di pari vampiresca impunibilità dei protagonisti intitolata, pur dando ogni rilievo ai rari martiri in vita e in morte, The New Judge (Trionfo della Legge uguale a Giustizia calpestata?) Un altro sottotitolo potrebbe suonare (La Neo Giudice e il Bellomo), ma le varianti si sprecano. Io stesso avrei spunti preziosi, vecchi e freschi, per la sceneggiatura, e se i capitali lo permettessero, si potrebbe dare al Pio Ermellino Assoluto l’importanza che merita partendo dal ’45 tuttora più attuale in Italia, quello del 1545 del Concilio di Trento, che poi è, più del recente dopoguerra, quello che fino a oggi garantisce la laicità dello Stato e il conseguente Stato di Diritto in Italia.
Va da sé che sarei molto, molto onorato se, mettendo i puntini sulle i che a me sfuggissero, ne accettasse la revisione il pm Nino Di Matteo (lo slogan di lancio delle dieci puntate del Foro potrebbe ricorrere a una delle tante sensate citazioni estrapolabili dalle sue dichiarazioni, ora come ora me ne viene in mente una particolarmente carina per armonia stilistica e adamantina per chiarezza, “I magistrati fanno carriera con metodi mafiosi”, ma non c’è che l’imbarazzo della scelta).


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