mercoledì 18 settembre 2019

Ahhhh Ucci Ucci!


mercoledì 18/09/2019
QUANTO PUDORE
Il cinismo dei padroni per salvare la baracca e fingersi “sotto choc”
PROFITTI SENZA PARI NEL MONDO - PAGA SOLO IL MANAGER. MA PER ANNI LA FAMIGLIA VENETA NON HA FIATATO SUI SUOI METODI CHE L’HANNO RESA UNA POTENZA

di Giorgio Meletti

Il 6 settembre 2018, tre settimane dopo il crollo del ponte Morandi e un mese e mezzo prima di morire, Gilberto Benetton disse al Corriere della Sera la frase che oggi aiuta a capire il senso del tardivo siluramento di Giovanni Castellucci dal vertice di Atlantia: “Se nel caso di Autostrade sono stati commessi degli errori, quando si sarà accertato compiutamente l’accaduto verranno prese le decisioni che sarà giusto prendere”.

Esattamente un anno dopo – orfana di Gilberto, lo stratega della finanza fuori dai maglioni – la famiglia di Ponzano Veneto parla attraverso Luciano, il più anziano e famoso dei quattro fratelli fondatori: “È una settimana che siamo sotto choc per quello che appare dai comunicati della giustizia”. Il cerchio si è chiuso, le decisioni sono state prese. I Benetton rimettono il loro destino nelle mani di Gianni Mion, tutore finanziario da oltre 30 anni e fanno fuori Giovanni Castellucci, l’uomo che per 15 anni li ha letteralmente coperti d’oro spremendo profitti dalla concessionaria autostradale, anche a spese della manutenzione.

Un siluramento tardivo eppure ingeneroso, come è facile capire ripercorrendo la cavalcata del 60enne manager di Senigallia. Se la decisione è suggerita – come fa capire Luciano Benetton – dagli sviluppi delle inchieste giudiziarie di Genova e Avellino sulla manutenzione di viadotti e guardrail, siamo nel campo del puro cinismo, quello su cui Castellucci ha sempre dato il peggio di sé e quindi si potrà dire andreottianamente che se l’è cercata. Era direttore generale, e già con la fama di duro, quando nel 2006 fu proprio Mion a sceglierlo come successore di Vito Gamberale, il primo amministratore delegato delle Autostrade privatizzate. Il manager molisano aveva cromosomi da manager pubblico e cercava la qualità del servizio. Per i cosiddetti ‘boiardi’ il profitto era l’ultimo dei pensieri. Per i Benetton il primo: il boom industriale del Nord-est, di cui sono stati pionieri, è fondato sulla conta serale degli schei accumulati giorno per giorno.

Castellucci è stato la più grande fabbrica di schei della Seconda repubblica. Possiede i brevetti per ‘catturare’ tutti i partiti, i ministri e i burocrati delle Infrastrutture. Nel 2008 riesce a rinegoziare a suo esclusivo vantaggio la concessione ripagando Silvio Berlusconi con la partecipazione al salvataggio di Alitalia, lo stesso scambio perverso oggi proposto per sanare la ferita del Morandi. In meno di dieci anni porta il pedaggio medio sui 2.850 chilometri di Autostrade per l’Italia (Aspi) da 6,4 a 8,3 centesimi al chilometro. Nei primi otto anni della nuova convenzione c’è la crisi e il traffico crolla, ma i pedaggi superano del 20% le previsioni (secretate) della convenzione, e Aspi ottiene un utile netto medio di 800 milioni di euro all’anno, il 23% dei pedaggi incassati. Una redditività senza uguali: Google, il gigante del capitalismo digitale, non arriva al 20%.

I Benetton adesso vogliono convincere il premier Giuseppe Conte e gli altri 60 milioni di italiani di non essersi mai chiesti come facesse Castellucci a guadagnare con i pedaggi più di Google. Strano. Il cinismo dell’uomo è noto in tutto il mondo. Nel novembre scorso, Linda Tyler Cagni, manager di caratura internazionale, si è dimessa dal cda di Atlantia per protestare contro la bocciatura di una sua proposta. Come presidente del comitato remunerazioni aveva chiesto a Castellucci un piccolo atto di contrizione dopo il crollo del Morandi, la rinuncia a un bonus da 100 mila euro appena maturato. Per il manager era solo una piccola mancia in confronto ai 5 milioni di stipendio annuo, eppure ha sfoderato un parere legale secondo cui il premio era un diritto acquisito e intangibile. La manager inorridita ha fatto notare che oltre ai codici c’è l’etica. E si è dimessa. I Benetton non hanno fiatato. E non hanno neppure alzato un sopracciglio quando Castellucci ha chiuso il 2018 incassando, oltre a 1,3 milioni di stipendio (100 mila al mese più la tredicesima, per spiegarlo ai poveri disorientati oltre i 4 zeri), un premio di risultato di 3,72 milioni, pari a oltre 10 mila euro al giorno per ogni giorno dell’anno, compreso il 14 agosto, in cui l’azienda ha raccolto il risultato più importante dell’anno: 43 morti.

Adesso che le inchieste di Genova e Avellino cominciano a mettere in luce le gravi responsabilità morali, se non penali, del numero uno e quindi delle aziende (Aspi e la holding Atlantia), i Benetton si liberano precipitosamente del manager sputtanato proprio per salvare la fabbrica degli schei. E non a caso, anziché nominare la prima persona perbene che passa, rimettono in pista Mion, il più fidato tra i manager in grado di muoversi tra i ricatti e le trattative indicibili dei palazzi romani. La parola d’ordine è salvare la concessione, salvando l’Alitalia e salvando la faccia del governo: Castellucci doveva saltare per forza. Uno spettacolo di fronte al quale il cinismo del manager marchigiano, che oggi gli costa la poltrona, impallidisce.

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