Trussardi e l’incriticabile piatto del “pesce scimmia”
PANE, ODIO E FANTASIA - NEL RINOMATO RISTORANTE DI FAMIGLIA IL MENU È TRADOTTO MALE, MA GUAI A RICORDARLO AL PROPRIETARIO
di Selvaggia Lucarelli
Ci sono mestieri che nessuno vuole più fare. Il lavapiatti. La badante. Il panettiere. Il critico gastronomico. O meglio, di gastronomia vogliono scrivere tutti, ormai, ma evitando con acrobatica diplomazia qualsiasi conflitto con ristoranti, aziende alimentari, chef, ristoratori. Primo perché si rinuncia a un sacco di cene a scrocco. Secondo perché attorno al mondo della gastronomia ruotano molti inserzionisti e “se dici che il mio uovo puzza di cure termali il tuo prossimo inserzionista sarà Roberto Carlino”. Terzo perché il settore ha un livello di permalosità che neanche Salvini con gli striscioni.
Ergo, basta scrivere “il radicchio era un po’ salato” che il giorno dopo l’ufficio stampa del ristorante minaccia di chiuderti nelle cucine e di farti fare, incaprettato, due giri di lavastoviglie impostata su “100 gradi”.
Non per niente il più noto critico gastronomico, Valerio Massimo Visintin, gira incappucciato. Lui dice che è perché così quando va nei ristoranti nessuno lo riconosce e gli servono quello che servirebbero a un cliente qualunque, ma secondo me è per non farsi riconoscere quando lo cercano per menargli. La meravigliosa querelle avvenuta giorni fa via social tra il critico gastronomico Dominique Antognoni e Tomaso Trussardi è un esempio smagliante di quello che si è detto.
L’antefatto. L’esperienza nella ristorazione di casa Trussardi ha avuto una vita abbastanza travagliata e da pochi mesi Tomaso stesso è stato nominato presidente e ad del segmento food. “Mio padre ha aperto la caffetteria, mio fratello l’ha trasformata in ristorante, mia sorella ha voluto le stelle: una scelta prestigiosa ma che non creava economicità. Io ho deciso di non prendere più chef star”, ha dichiarato in febbraio alla stampa. A quel punto la stampa gli ha domandato quale fosse la sua rivoluzionaria idea di ristorazione, visto che aveva rinunciato al suo chef e alle due stelle Michelin, e lui ha risposto: “Una trattoria di lusso, la gente vuole mangiare bene senza spendere una follia”. Cosa voglia dire “trattoria di lusso” è mistero fitto. È tipo “un’utilitaria Lamborghini, la gente vuole andare a 200 all’ora senza spendere una follia”. Cioè, se la gente vuole mangiare bene senza spendere, va in trattoria, se la trattoria ha i divani con struttura in ottone brunito e le posate d’argento non è più una trattoria, se la costoletta di vitello costa 50 euro come attualmente al ristorante Trussardi alla Scala, il prezzo non è da trattoria di lusso, ma da ristorante costoso. Quindi “trattoria di lusso” non vuol dire un’emerita cippa. Il critico Antognoni, a quel punto, fa un’osservazione simile su Facebook e a febbraio, nel pieno della settimana della moda, quando i Trussardi in teoria avrebbero altro a cui pensare, Tomaso risponde piccato che se il critico vuole sapere cosa sia una trattoria di lusso, questa volta deve pagare. Insomma, lascia intendere che il critico in questione in passato sia andato a mangiare nel suo ristorante senza tirar fuori un euro.
La querelle finisce lì, ma è in arrivo il secondo round. Antognoni, qualche giorno fa, studia il menu della trattoria di lusso e scrive un articolo su chefmaitre.com intitolato “Il pesce scimmia del signor Trussardi”. Vedo il titolo, penso che dopo anni di logo col famoso levriero, Tomaso abbia deciso di cambiare logo e animale e di buttarsi sul genere fantasy-mitologico, con un simbolo che sia metà carpa e metà bertuccia. Invece no, Antognoni sta parlando della nuova trattoria di lusso, più precisamente del menu.
Un menu che lui definisce “un foglio word qualsiasi” in cui “Piccione rapa e piselli” diventa Pigeon with turnips and beans, solo che beans non vuol dire piselli, ma fagioli. In cui a sinistra, in italiano, si informa il cliente che la bistecca viene calcolata all’etto, mentre a destra, in inglese, viene detto che si calcola al grammo. Ma soprattutto, tra le proposte di pesce, spicca la “rana pescatrice” (monkfish, in inglese) che però nel menu di destra diventa MONKEY fish, ovvero pesce scimmia. Un menu pensato da Tim Burton, insomma. Di sicuro un’esperienza culinaria insolita assaggiare il famoso “gorilla pinna gialla”. Insomma, che il ristorante Trussardi abbia un menu con gli errori del menu cinese in Viale Padova o di quell’indimenticabile menu in Bolivia in cui gli spaghetti al pesto erano tradotti “Spaghetti alla peste”, è una sciatteria incredibile e Antognoni lo fa notare. Apriti cielo. Tomaso Trussardi, in tutta risposta, come un bimbominkia qualunque lancia strali su Facebook: “Certi imbecilli sedicenti critici culinari si permettono di giudicare senza competenze e esperienze di lavoro…. gli veniva permesso di mangiare a ufo (per non dire a scrocco)… ha dimostrato con copertine al miele il suo totale asservimento a chi lavorava nelle nostre cucine e gli permetteva di gozzovigliare a mie spese… ma si sa, la pacchia finisce, questo dodicenne hater…etc…”. Poi, non contento, si rivolge a chi lavorava nelle sue cucine, ovvero lo chef stellato Roberto Conti, invitandolo a togliere dalla sua bio su Facebook “executive chef presso il ristorante Trussardi” e da gran signore, specifica che sebbene Conti faccia credere di essersene andato di sua spontanea volontà, l’ha licenziato lui. “Grazie, ti auguro di fare bene COME NE SEI capace quando vuoi!”, conclude Trussardi. E lì diventa chiaro chi ha scritto il menu della trattoria di lusso. Del resto, si sa, nelle trattorie è tutto fatto in casa, pure i menu. Resta solo da capire se il pesce scimmia, nella scala evolutiva, sia l’anello di congiunzione tra l’uomo e una trattoria di lusso. Attendiamo la risposta del signor Tomaso Trussardi. Via Facebook, naturalmente. Del resto, i grandi comunicatori nel mondo della moda come lui e Stefano Gabbana, rispondono solo così.
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