venerdì 11 gennaio 2019

Danielaaa!


venerdì 11/01/2019
Salvini-baglioni. L’arte non è pane e Nutella

di Daniela Ranieri

La “Bestia” social salviniana ha giocato la stucchevole e finora vincente carta della finta bonarietà irridente di chi è refrattario alle critiche (“Canta che ti passa…”), ma forse per la prima volta ha accusato il colpo. Con gli attori e i prodotti dell’industria culturale, agroalimentare, nazional-popolare, Salvini alterna due atteggiamenti contigui: quelli che non può assorbire e usare per la sua propaganda (indifferentemente Al Bano e la Nutella, Mauro Corona e i tortelli alla zucca), li addita al suo pubblico come cascami castali, “intellettualoni” (i già “professoroni” di Renzi), ottimati lontani dagli ormai soporiferi “veri bisogni della gente”, dunque terzomondisti, globalisti, plutocratici, buonisti e altre vezzose sfiziosità da miliardari; laddove è chiaro che invece lui, Salvini, sta con gli italiani.

Claudio Baglioni, che gli italiani amano da 40 anni con una intensità e una costanza che certi politici aspiranti rockstar si sognano la notte, ha detto in conferenza stampa pre-Sanremo ciò che qualunque persona dotata di buon senso pensa, e cioè che lasciare 50 persone per giorni su una nave e chiamare questa scelta “politica di gestione dell’immigrazione” configura l’appartenenza della questione al genere della farsa. “Lascia che di sicurezza, immigrazione e terrorismo si occupi chi ha il diritto e il dovere di farlo”, ha intimato il ministro bulimico (in senso metaforico e letterale) al cantautore, che s’è semplicemente avvalso dell’art.21 della Costituzione; ministro che peraltro, con modalità innovative che studieranno gli storici, non disdegna di mischiare quotidianamente le funzioni proprie del politico (delle quali a dire il vero c’è poca traccia) a quelle di influencer di Instagram, testimonial di prodotti caseari/ortofrutticoli/vinicoli, indossatore di divise di corpi in cui non presta servizio e persino, mirabile dictu, cantante neomelodico. Ma Baglioni non può: si limiti a cantare, preferibilmente canzonette anodine prive di critica sociale, con versi che riflettano la letizia dei borghi e la pace delle città, insomma pensi a intrattenere il pubblico come un orso ammaestrato (la citazione è del Poeta) ché alla salute etica del Paese ci pensa Salvini. Così come già J-Ax (“rapper sinistro”) e persino Pamela Anderson, la bagnina di Baywatch che aveva parlato di un’Italia con tendenze da anni 30, fatta passare per una privilegiata insensibile alle rivendicazioni della rust belt padana, Baglioni – che da anni presta la sua arte alla sensibilizzazione sulla tragedia migratoria – è diventato il bersaglio di insulti i più fantasiosi (tra i quali, per dire, “razzista”), come previsto dal suonatore di campanellini per cani sbavanti; mentre il direttore di RaiUno Teresa De Santis l’ha avvisato che questo è l’ultimo Festival che conduce (“Mai più all’Ariston se ci sono io”, avrebbe detto, al che ci pare doveroso far seguire la pernacchia di Totò).

Nello schemino tedioso si inserisce a sorpresa il carnacialesco, patetico tentativo del Pd di appropriarsi delle adamantine parole di Baglioni (Renzi e Boschi ne hanno tessuto sui social l’elogio dei giusti). Stiamo parlando del partito che al governo espresse Minniti e la sua particolare filosofia filantropica fatta di accordi coi libici per trattenere le persone dentro recinti da cani e tolleranza zero contro i derelitti nelle città. Pazienza se Baglioni aveva sottolineato che anche “tutti i governi precedenti” non sono stati all’altezza di gestire il fenomeno epocale delle migrazioni, e dunque per logica, ad avercene in questo buio del cuore e delle menti, quelli del Pd sarebbero i meno titolati a parlare. A ogni modo, vista l’attenzione isterica che i potenti pro-tempore dedicano ai re del mondo (i poveri, gli sconfitti e gli artisti) e al rimestare continuo nei ribollenti istinti del web per silenziare il dissenso, accogliamo la vicenda con felicità: se non altro, è la prova che le parole dei poeti fanno ancora paura.

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