mercoledì 31 ottobre 2018

Ladrata biblica



L’ULTIMA BEFFA DELLA GRANDE INCOMPIUTA
Sergio Rizzo
Si sfoga il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro mentre il mare assedia la basilica di San Marco: «Vorrei chiedere a qualcuno se ha capito a che cosa serve il Mose». Ma la domanda da fare sarebbe un’altra: che fine ha fatto il Mose, opera colossale a cui sarebbe affidata la difesa della città più preziosa e suggestiva del mondo dall’acqua alta? Dov’è finito quel vanto dell’ingegneria planetaria, con le sue paratie mobili già attaccate dalla ruggine senza aver mai compiuto il lavoro per cui sono state realizzate? Più di cinquant’anni ci sono voluti per immaginare, ideare, progettare, e poi costruire il Mose. Significa Modulo Sperimentale Elettromeccanico, ma chi ha pensato di chiamarlo così aveva in mente un rimando biblico al Mosè che apre le acque del Mar Rosso per la traversata del popolo eletto. Rimando tantinello esagerato, se si pensa che a differenza di Mosè, il Mose metallico ha finora aperto solo una bella voragine nei conti pubblici.
La storia è lunghissima, comincia dopo l’alluvione del 1966. I cantieri si aprono nel 2003, con la legge obiettivo: secondo governo di Silvio Berlusconi, ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi che rievoca lo spirito delle grandi opere del passato arrivando a scomodare le Piramidi e la Grande muraglia. Ma questa, al confronto della Grande muraglia, è appena un muretto di ferro anche se dai Grandi Costi. Dopo quindici anni di lavori, il Mose non è ancora finito: siamo al 94 per cento ed è stata spesa una cifra non lontana dai 6 miliardi. Con un meccanismo assolutamente anomalo. Perché l’opera, guarda caso, era stata affidata a un concessionario privato, il Consorzio Venezia Nuova, senza gara. E i soldi, ovviamente, non erano privati: tutti pubblici fino all’ultimo euro. Così tanti che ce ne sono stati abbastanza anche per distribuire in giro caramelline di ogni tipo. Milioni, una ventina, ai 316 collaudatori, fra i quali 36 dirigenti del ministero delle Infrastrutture (!) e perfino un ex magistrato delle acque. Ma anche altri milioni, e molti di più, di tangenti. Ci sono andati di mezzo imprenditori, faccendieri, un ex ministro e un ex ministro ex presidente della Regione.
Nessuno si è salvato. Nemmeno lo stesso Mose perché anche quei cantieri, ha rivelato un mese fa il provveditore alle Opere pubbliche Roberto Linetti, sono fermi. Bloccati, nonostante i soldi per finire, fra 600 e 800 milioni, siano disponibili in cassa. Ma sempre poi che quel marchingegno funzioni, perché questo non si sa. L’unica cosa certa è che ci costa già 100 milioni all’anno di manutenzione. E forse è solo quello, per ora, il vero affare. Altro che la salvezza di Venezia.

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