mercoledì 12 settembre 2018

La critica


E Francesco Merlo invece, sempre su Repubblica si scaglia sul Premier Conte. Ora la critica è sacrosanta, giusta, lievito per smussare spigoli di chiunque abbia un incarico nella nostra democrazia, compreso il Presidente del Consiglio. Quello che non mi torna, e che faccio fatica a ricordare, sono articoli di ugual natura scritti da Merlo sul Bomba. Non me ne ricordo neppure uno. E non posso certo dire che non ve ne fosse occasione. Pazienza! 


Conte, il burattino che non riesce a diventare Pinocchio

FRANCESCO MERLO

Il premier e la domanda per la cattedra di diritto
Non vanno liquidate con le risate le ricorrenti piccole-grandi truffe curriculari del premier Giuseppe Conte che accademicamente è una figura ben più drammatica che ridicola. Innanzitutto perché trucca la grande tradizione italiana del professore-politico, da Moro a Spadolini, da Amato a Monti, da Colletti a Melograni, da Tullio De Mauro a Rodotà. Se politicamente è infatti il burattino che non riesce a diventare Pinocchio, dal punto di vista universitario è il professore delle mezze misure spacciate per intere nel curriculum gonfiato, delle mezze porzioni in biblioteca, delle mezze calzette indossate alla New York University, dei mezzi perfezionamenti e del finto gran rifiuto a un concorso invece rinviato, tan-to-chi-se-neac- cor-ge: tié.
Cominciamo appunto da quest’ultima, dalla sua mezza rinunzia al concorso per la cattedra di Diritto Privato da Firenze alla Sapienza di Roma, che non è una facile formalità perché la legge Gelmini ha reso incomprensibilmente impervio il trasferimento dei professori da una sede ad un’altra. Conte sa dunque che l’occasione non si ripeterà e lo sa pure il suo maestro Guido Alpa che del Diritto è un’eccellenza e dunque ha l’audacia tosta di affrontarlo: «Farebbe bene a presentarsi perché non violerebbe nessuna legge». Più contortamente il premier si rifugia, con l’astuzia della paglietta napoletana, nella mezza rinunzia che è, come dicevamo, una recidiva perché giocata sugli stessi imbrogli linguistici del curriculum che Conte stesso presentò gonfiato. Ora ha detto "riconsidero la mia candidatura" dove "riconsidero", nella sua vaghezza, spaccia per orgogliosa rinunzia il furbo rinvio. Allo stesso modo, cento giorni fa spacciò, nel curriculum accademico, i suoi turistici passaggi nelle biblioteche americane per visiting professorship e i suoi studi di lingue per titoli giuridici ottenuti in sedi prestigiose, come l’International Kultur Institut di Vienna che però è solo una scuola di tedesco.
Diciamo la verità: noi italiani nel finto curriculum tendiamo a cascarci come nelle buche dell’asfalto romano. Quando Conte accettò di fare il premier per procura capimmo che sarebbe stato il pupazzo di Di Maio&Salvini, il vice dei suoi vice, ma non ci accorgemmo della dilatazione dei titoli forse perché nell’università italiana nessuno controlla registrazioni e documenti e si dà per approssimativamente vero il curriculum di chi ha comunque cercato di migliorare la propria preparazione all’estero.
Anche adesso, quando abbiamo sentito da Conte che avrebbe "riconsiderato" la candidatura, abbiamo creduto all’ovvietà del rifiuto per amor proprio e non al prender tempo, che in Italia è la morbidezza del peggio.
È vero che aveva presentato la domanda quando neppure immaginava che sarebbe diventato presidente del Consiglio, ma è altrettanto vero che, da premier, avrebbe voluto superare il concorso di nascosto per non esibire quei conflitti di interesse che sono evidenti.
E non perché esista una legge Guido Alpa ha ragione - che esplicitamente vieta a un premier di partecipare a un concorso, ma perché la presidenza del Consiglio è una funzione palesemente incompatibile con qualsiasi altro lavoro statale: quale professore potrebbe serenamente valutare il responsabile ultimo della macchina amministrativa dello stato di cui è dipendente? E come mai Conte, avvocato e dunque giurista, mostra di non saperlo?
Forse perché si sente anche lui una finzione giuridica dell’Italia a 5 stelle, l’Agilulfo di Calvino, che non era un cavaliere ma una lucida armatura vuota. Sono del resto impalpabili emanazioni della piattaforma Rousseau quasi tutti i parlamentari che Grillo e Casaleggio reclutarono in Rete, più numerosi e più fake delle loro fake news. Conte è il loro leader supplente. E forse è così consapevole di fare le veci a fuoco lento da dire con sincerità drammatica che la cattedra a Roma è il sogno che insegue da una vita, come se la presidenza del Consiglio, che occupa senza avere conquistato, non fosse un sogno veramente realizzato ma un incubo: "da precario" ha commentato il New York Times. Insomma Conte è il "quo vado" di Zalone: cerca ancora il posto fisso.
E veniamo ai giornali americani che hanno sgamato l’italica furbizia del professore. Conte se l’è presa con noi di Repubblica quando, per la seconda volta, e con il tono solenne della sofferta abdicazione, ha annunziato di rinunziare alla cattedra-trono di Roma. Sino ad oggi, per la verità, non ha ancora scritto la prevista, formale lettera al responsabile amministrativo del concorso e dunque solo su Facebook ha abbandonato con una gravità pontificale mancava solo il latino: " declaro … renuntiare". Ma, come dicevamo, ha accusato un giornale di denigrarlo «e non ne faccio il nome - ha aggiunto sventolando platealmente Repubblica perché sono il premier e credo nella libertà di stampa». In realtà il Conte universitario è stato sempre smascherato dai reporter americani, ora da quelli di politico.eu, e cento giorni fa dal New York Times.
Più di noi, infatti, gli anglosassoni credono in quella, a volte inafferrabile, eccellenza dell’accademia italiana che diventa politica.
La considerano diversa dalla loro che non ha mai commistioni di nessun genere con la politica - out of the question - ma ne apprezzano la qualità essenziale anche se antiquata, classica, barocca.
In Conte hanno invece fiutato la solita, sostanziale furbizia italiana, che conoscono altrettanto bene.
Perché, bisogna dirlo, nell’università italiana, ci sono tanti professori alla Conte, ma nessun arci-italiano era mai arrivato alla presidenza del Consiglio.

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