mercoledì 12/09/2018
Matteo l’esperto (per conto di Serra)
di Daniela Ranieri
Che ci fa Matteo Renzi, in una foto che lo ritrae in tutta la sua intensità a tratti un po’ cerebrale, sul sito del fondo finanziario Algebris di Davide Serra, con la qualifica di “adviser”, che – ci dicono – vuol dire qualcosa come “esperto” o “profondo conoscitore”, in un think tank dedicato a temi quali Europa, lavoro, fisco e immigrazione?
Che si tratti di quel Matteo Renzi, il leader che scaldava le masse lavoratrici quand’era a capo del “governo più di sinistra degli ultimi 30 anni”, è chiaro dalla biografia (ovviamente in inglese, la seconda lingua di Matteo) dove è presentato come “il più giovane Primo Ministro della storia d’Italia, con soli 39 anni e 1 mese all’inizio del suo mandato” (un record per il quale valeva la pena sbrigarsi a liquidare Letta e battere Mussolini di pochi mesi). A parte l’ovvia considerazione di come si possa giudicare esperto di Europa, fisco, lavoro e immigrazione un tizio che su ciascuno di questi temi ha fallito ed è stato bocciato dagli elettori (ma del resto gli altri due membri del team per salvare l’Europa sono lo stesso Serra, un miliardario in sterline, e Nicholas Clegg, ex viceministro del governo conservatore di David Cameron che ha portato il Paese alla Brexit), potrebbe stupire vedere l’eclettico leader impegnato in ambiti così esotericamente elitari invece che, come aveva promesso, nelle periferie, da cui, povere loro, voleva ripartire. Del resto proprio quel Renzi recentemente scopertosi conferenziere di rango giusto ieri ha parlato a un incontro a porte chiuse “sul futuro dell’Europa” organizzato a Milano proprio dalla Algebris, insieme a finanzieri di razza, investitori e bancaglia varia. “Penso che sia interessante che ci siano delle occasioni di confronto tra professionisti, addetti ai lavori e mondo economico finanziario”, ha commentato forse mettendosi tra i professionisti, senza lesinare complimenti al nascente think tank di cui non a caso fa parte.
Ma il motivo per cui Renzi, prossimo presentatore di documentari su Firenze – città talmente bella che lui vi fa nascere Michelangelo, che però era di Caprese, vicino a Arezzo – veste bene il ruolo di adviser in un forum collegato a un fondo finanziario, è che la sua fibra, la sua struttura mentale, i suoi codici e il suo linguaggio sono sempre stati quelli del capitalismo. Meglio, di quel tipo di capitalismo neo-liberale molto smart, contundente e cinico che a un certo punto della Storia si è messo in testa di allearsi con la politica sedicente di sinistra e cambiare il mondo.
Davide Serra, lo ricorderete, è quel giovanotto dall’eloquio basico e dallo sguardo fisso che, Renzi regnante, andava in Tv a elogiare il Jobs Act dopo aver proclamato alla Leopolda che “lo sciopero non è un diritto”, e in campagna referendaria prendeva un volo per venire a spiegarci, lui londinese d’adozione e culturalmente apolide come tutti i finanzieri oltre un certo Isee, quanto avrebbe aiutato la democrazia una bella rinfrescata della obsoleta Costituzione nata dalla Resistenza, che, come da monito della banca Jp Morgan, ci ha posto fuori dal progresso quale lo intendono gli eletti del mondo.
Così, mentre giurava “con noi conterà la conoscenza, non le conoscenze”, Renzi corteggiava imprenditori, sponsorizzava brand di grido, riceveva ricconi al Four Season, anticipava decreti sulla banche agli investitori amici (incidentalmente editori di giornali che il giorno dopo avrebbero parlato di lui), promuovendo ovunque la sua idea di società prestazionale, dove o si è start-upper o degli sfigati. Non come Serra, che sul suo sito scrive senza ironia “I have an Italian heart but a British brain”. Tiene un cuore italiano, come Gerard Depardieu nello spot dei pelati, ma chissà se è stato quello o il cervello british ad avvicinarlo all’allora più influente politico d’Italia (tanto da finanziargli tutte le campagne elettorali), il quale intanto, con la folle idea di un Senato non elettivo pieno di amministratori locali immuni, si tirava dietro le simpatie di tutti i padronati d’Italia, da Confindustria in giù (o in su?). Renzi non è stato un incidente, ma l’esemplare alfa di una nuova specie antropologica, non più legata al capitalismo familiare o alla razza padrona, ma alle affinità elettive tra vincenti o aspiranti tali, indifferenti ai destini di classe (che possono essere spezzati con la furbizia e qualche spintarella dei babbi) e abbastanza spregiudicati da potersi dire di sinistra continuando a formulare progetti di destra.
Ma il tempo è galantuomo, come ama ripetere sempre il figlio di Tiziano e Laura: non fa che rivelare le persone per quelle che sono e che sono sempre state (quel che non si spiega in tutta questa storia, semmai, è come Serra possa pensare di farsi pubblicità positiva usando non diciamo l’expertise, ma anche solo l’immagine di Renzi).
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