L'alter ego di Travaglio. Lo archivio perché mi fa molto riflettere, pregno d'acredine com'è. Un punto di vista che è segnale di stortura, di mescolamento dannoso, di perdita di valori. E che m'invoglia ad andare indietro, di scartabellare articoli del tempo che fu, per comprendere se Bottura sia un giornalista o uno dei soliti cavalieri della tavola gigliata.
SE SALVINI SEMBRA CAVOUR
Luca Bottura
Stupisce lo stupore — non dichiarato — di Roberto Fico per il "liscio e busso" rifilatogli da Matteo Salvini. Stupisce lo stupore di Maurizio Martina che parla di Movimento «consegnatosi alla Lega». Stupisce lo stupore di commentatori, politologi, progressisti superstiti per la copertura ideologica che i Cinque Stelle, compatti, stanno conferendo alla svolta muscolare leghista sulla vicenda della Diciotti e, per traslato, sulle questioni relative all’immigrazione. Stupisce lo stupore di chi non vede, o preferisce non vedere, ciò che era evidente ben prima che le capriole opportunistiche di Luigi Di Maio lo portassero ad allearsi con una forza cui aveva attribuito ogni nequizia da vecchia politica. Stupisce lo stupore di chi già allora non aveva inteso una banale evidenza: Lega e Cinque Stelle rappresentano un’unica area culturale omogenea che Salvini ambisce a riunire sotto la propria potestà. Una saldatura di popolo che su temi come l’immigrazione trova il suo apice.
L’inadeguatezza di Di Maio, quella ancora più plastica di Giuseppe Conte (che il leader leghista ha astutamente lasciato scegliere agli alleati) permettono all’alleato di minoranza una golden share permanente, consentendogli di interloquire direttamente con Casaleggio figlio, che dal padre — e da Grillo: sugli stranieri è sempre stato padano ad honorem — ha ereditato una visione autoritaria del rapporto tra gli abitanti di "Gaia". Un comune sentire che ha storicamente bisogno di nemici contro cui riversare l’ostilità, mentre si sganciano i lacciuoli della democrazia.
È nato così un Partitone Unico incidentale che addensa in un solo grumo rancoroso istanze di ogni genere, talvolta giuste, banalizzandole, per cancellare le proprie responsabilità nella tragedia-Paese che ci è dato di vivere.
Salvini ha compiuto il percorso in proprio, gabellando come nuova una Lega che aveva governato per anni e contribuito a trascinare il Paese nel baratro di rappresentatività dei governi tecnici. I suoi elettori, e quelli del Movimento, hanno rimosso di aver votato, scelto, sostenuto la stessa identica classe politica che ora assaltano selettivamente per ricostruire la propria verginità. «Sì, ma il Pd invece» era una boutade da social network. Oggi è un programma politico. Efficacissimo. Con tanto di organi ufficiali. Sostenuto da una maggioranza di persone che si è convinta sul web di come la democrazia rappresentativa andasse sostituita da una sorta di dittatura popolare "buona", proprio mentre tv variamente berlusconiane raccontavano loro di un’emergenza criminale spicciola, ovviamente figlia dei migranti, che permetteva tra l’altro di evitare un contrasto decente a quella mafiosa.
Tutto questo mentre Fico ancora non realizza di essere stato posto in una casella decorativa e, nel consegnarsi su Twitter alla canea dei bandierini, tiene comunque a precisare che ha rinunciato allo stipendio da presidente della Camera. Palliativi espressivi buoni per un’era geologica precedente, quando ancora il Movimento, meglio, i suoi vertici non si erano ridotti a succhiare le ruote di uno che al loro confronto sembra Cavour. O almeno Galeazzo Ciano.
L’epoca di «uno vale uno» è finita.
Oggi basta: «Non hanno pane? Dategli un nuovo post». Ed è definitivamente tardi per stupirsi.
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