domenica 29 luglio 2018

Sempre in coppia Marco!


Stavo per cedere, credendo alla possibilità di essere andato fuori pista, di essermi allontanato troppo dalla ragione. Sopratutto sulla questione Rai, ricevendo inviti a desistere, a calmarmi, a riflettere. 
Per fortuna è arrivato lui e questo suo articolo di fondo magistrale e in sintonia completa con quanto da me asserito. Ora siamo in due. E la lotta continua...

 domenica 29/07/2018
La bufala in freezer

di Marco Travaglio

Quando uno fa una predica, viene giudicato non solo su quello che dice, ma anche sul pulpito da cui lo dice. Se un prete pedofilo si scaglia contro la pedofilia, dai banchi della chiesa qualcuno gli urlerà “senti chi parla!”. È quel che sta accadendo con le omelie delle cosiddette opposizioni e della stampa al seguito sulle nomine Rai. Il contenuto è sacrosanto: il governo e i partiti della maggioranza che decidono i vertici del “servizio pubblico” è sempre uno spettacolo inverecondo, a prescindere da protagonisti e comparse. Ma è il pulpito che lascia a desiderare: che a insorgere come un sol uomo e a invitare la cittadinanza alla resistenza, siano il Pd e FI, cioè i più volgari lottizzatori dell’ultimo quarto di secolo, che hanno trasformato la Rai da grande azienda culturale a ufficio di collocamento per trombettieri e trombati, raccomandati e poco raccomandabili, amanti e leccaculi (fatte salve le solite eccezioni, peraltro ridotte al lumicino dalla stratificazione delle epurazioni), fa ridere i polli. Se poi pensiamo che le ultime due leggi sull’emittenza, che hanno consegnato la Rai dalle mani dei partiti direttamente a quelle del governo, portano le firme di Gasparri (FI) e di Renzi (Pd), e che dunque quanto stanno facendo Di Maio e Salvini non solo è consentito, ma addirittura imposto dalle norme volute da chi ora grida allo scandalo, viene proprio da sbudellarsi.

Naturalmente nessuna legge può obbligare il governo a nominare incompetenti, portaborse o falliti di partito azzerbinati ai loro mandanti. La Rai è sempre stata lottizzata dai partiti (con Renzi da uno solo). Ma, soprattutto nella Prima Repubblica e più raramente anche nella Seconda, poteva capitare che i partiti scegliessero anche qualcuno bravo: i famosi “competenti di area”. Oggi i mostri sacri sono tutti morti. Ma non si può negare che Fabrizio Salini, ex manager di Fox, Discovery, Sky e La7, sia un manager tv competente e indipendente. Marcello Foa – per quel che conta ormai il presidente Rai dopo la controriforma Renzi – è invece culturalmente più connotato: è un “sovranista” (qualunque cosa voglia dire), un anti-euro e un filo-Putin. Ma non è un leghista né un grillino militante e, diversamente da tanti ex presidenti e consiglieri Rai, neppure un ex-parlamentare o portaborse. Ha le sue idee, anche opposte alle nostre. Ma pure un curriculum rispettabile: capo degli esteri al Giornale di Montanelli, docente universitario di media, manager del gruppo stampa-tv del Corriere del Ticino, autore di saggi interessanti come Gli stregoni della notizia sulla disinformatija d’Occidente.

Il classico “intellettuale di area” che piace alla Lega senza esservi iscritto (diversamente da altri pretendenti per fortuna scartati, come Bianchi Clerici e Del Noce) né doverle la carriera. Gli è anche capitato (come a tutti gli umani) di sbagliare: tipo quando ha ritwittato la fake news della migrante camerunense con le unghie smaltate. E di esagerare, come quando ha espresso “disgusto” per il discorso di Mattarella sul caso Savona, ma aveva il pieno diritto di farlo, essendo ancora un privato cittadino. Dissentire anche ferocemente dal capo dello Stato non è (ancora) reato. E nessuno dovrebbe saperlo meglio degl’indignati a singhiozzo di Repubblica, immemori delle campagne del loro fondatore Scalfari contro i presidenti Segni, Leone e Cossiga. Il che rende comicissimi i titoli di Repubblica e Messaggero sul “gelo del Colle” su Foa, oltre ad attirarsi l’inevitabile replica: e chi se ne frega! Mattarella non ha alcun ruolo nella scelta del presidente Rai, e infatti non risultano sue dichiarazioni in merito, né acquisti di congelatori supplementari per l’occasione. Ammesso e non concesso che Mattarella sia rimasto gelato, pazienza: prima o poi qualche anima pia provvederà a sbrinarlo dal freezer. Ora Repubblica – di cui sfuggono le battaglie contro la “riforma” Renzi, la renzizzazione delle tre reti e dei tre tg Rai e le epurazioni di Berlinguer, Giannini, Giletti e Gabanelli – invita alla pugna Pd e FI (sic) per “fermare questo brutto spettacolo” che strappa Viale Mazzini ai “valori repubblicani” (quelli di Saccà, Del Noce, Masi, Minzo, Riotta, Orfeo & C.) e lo consegna al “proconsole di Mosca”.

A questo proposito, si potrebbe ricordare agli smemorati colleghi che, fino a pochi anni fa, il loro giornale era così ancorato ai valori repubblicani (nel senso di Repubblica) e scevro dall’“apostolato” dei “proconsoli di Mosca” da ospitare ogni mese la traduzione italiana di Russia Oggi, organo del Cremlino che dipingeva il regime putiniano come un’oasi di pace, libertà e democrazia, con “giudizi entusiastici sul presidente russo” da far impallidire i tweet di Foa. Poi il comitato di redazione si imbizzarrì e, dopo lunga e faticosa battaglia, ne ottenne la rimozione. Foa è anche accusato, da Repubblica e Stampa, di produrre fake news à go-go. Il che è senz’altro deplorevole. Peccato che la predica venga da giornali che, nella pagina accanto, diffondono fake news à go-go. La Stampa: “Nessuna maggioranza ha mai escluso l’opposizione da tutte le reti” (falso: l’ha fatto Renzi, mentre i gialloverdi non hanno ancora toccato una rete né un tg). La Stampa e Repubblica vaneggiano delle “penali miliardarie” (inesistenti, mai previste da alcun contratto) che l’Italia dovrebbe sborsare se annullasse il Tav Torino-Lione, definito da La Stampa “treno ad alta velocità per persone e merci” (falso: è solo per le merci). Il che spiegherebbe il titolo della stessa Stampa sulla fantomatica “ira del Nord” per il no grillino al Tav (e chi l’ha detto? e chi sarebbe l’iracondo portavoce del “Nord”? e “il gelo del Nord” no?). Ma forse è solo invidia: i monopolisti della bufala temono di perdere l’esclusiva.

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