mercoledì 14 febbraio 2018

Oh Daniela!


mercoledì 14/02/2018
Matteo&B. Senti chi parla (ai 5stelle)

di Daniela Ranieri

Ci convinciamo vieppiù che questa campagna elettorale è stata sceneggiata da Steno, e che gli attori coinvolti, non valendo un’unghia di giganti come Totò e Aldo Fabrizi, ne siano comparse di secondo livello.

B., che un paio di anni fa provò a vendersi come paladino dei diritti dei gay, lui che i gay li ha sempre derisi e usati come macchiette del suo teatrino machista (al battutista da crociera bastava una toccatina all’orecchio durante un summit per alimentare la sua leggenda da latin lover), oggi si dice difensore della famiglia tradizionale. Sissignore. Lui che rispose con “almeno non vado con gli uomini” a chi gli rimproverava la mignottocrazia o il fatto che Palazzo Grazioli, alle cui finestre sventolava la bandiera italiana, era stato ridotto al retro di una discoteca di Gabicce mare da un bisnonno finito dentro giri strani di finte marocchine minorenni e vere brasiliane mezze spacciatrici e pure ladre. Lui che, familydaysta opportunista, sposato due volte, se la faceva con le peggio scappate di casa tra Bari e Milano 2, che faceva arruolare da un pappone e da una igienista dentale che pagavamo noi come consigliera regionale. Lui che s’è messo in casa una più giovane di lui di 50 anni more uxorio, fino a che alla first-girlfriend kennedyzzata cadde sul capo l’“accusa” di essere lesbica da parte della regista Bonev, vicenda che diede agio al grande amatore e comunicatore di dire “potevi dirmelo, così mi divertivo”. Poi ci prese gusto e invitò ad Arcore la prima deputata trans nonché vincitrice dell’Isola dei famosi Vladimir Luxuria, che si prestò per selfie cafonali col padrone di casa e la di lui signora.

Adesso lui, di cui nostro malgrado conosciamo tutte le vicende urologiche (dopo il tumore alla prostata protagonista di vent’anni di campagne elettorali siamo edotti circa leggendari impianti idraulici penieni, iniezioni, pillole e sindromi priapistiche indomabili, col Cavaliere metafora vivente di un Paese mai soddisfatto perché impotente), per mostrarsi morigerato all’Europa che del resto finge di credere anche alla sua indole antipopulista, è contro le unioni civili, lui che ne ha avute di barbare. È anche contro l’evasione fiscale, oltre che condannato a 4 anni di galera per frode fiscale. Hai visto mai c’è ancora qualcuno disposto a credere a una sola parola di quelle che dice, o a ritenere che lui sia come il prete: bisogna fare quel che dice e non quel che fa.

Questa da sepolcro imbiancato è la stessa strategia dell’altro argine contro i populismi: Renzi. Che davanti alla brutta faccenda di quei parlamentari del M5S che fingevano di rinunciare ai rimborsi elettorali mentre se li tenevano, rispolvera a uso elettorale la questione morale di Berlinguer. Lui, che ancora non ha restituito i 15 mila euro elargiti da Salvatore Buzzi, al tempo solo pregiudicato per omicidio e sodale del Nar Massimo Carminati, al suo turbo-partito renziano in una cena di finanziamento (oltre ai 5 mila dati alla fondazione Open), né, pare, quelli di Alfredo Romeo, arrestato nell’ambito dell’inchiesta che vede indagati il babbo Renzi per aver approfittato di essere figlio del presidente del Consiglio per trafficare sugli appalti Consip e l’amico del cuore Luca Lotti, ministro della Repubblica, per aver spifferato ai vertici Consip che avevano microspie in ufficio. Lui che voleva cambiare la Costituzione con Verdini, candida plotoni di impresentabili e a ogni nuovo indagato del Pd se la cava con un “chi ha sbagliato pagherà”, come se fosse lui a decidere. E ora, con la faccia che gli conosciamo, dà del “mariuolo” craxiano a chi, dei 5S, non ha girato parte dello stipendio al fondo delle piccole e medie imprese come volontariamente promesso e come hanno fatto gli altri, mentendo agli elettori ma non rubando o pagando tangenti. Così il bue dice cornuto all’asino ostentando pure la posa sufficiente del “noi siamo garantisti” (e ti credo, sennò gli si decima il partito come sotto la peste del 1630).

Nondimeno esiste una differenza abissale tra i due soci parrucchieri che ci governeranno. Che non è solo una differenza tra fedine penali (quella di B. è inarrivabile in una vita sola), ma di profondità drammaturgica.

Il mix tra il destino da Don Giovanni e la condanna a un’assoluta mancanza di saggezza fa di B. un personaggio tragico. Egli è pura energia senza pensiero. È affetto da una sorta di autofagia, una dissoluzione della personalità in cui sono del tutto scisse prassi e aspirazioni. Lui crede veramente a quello che dice, nel momento in cui lo dice; se due minuti dopo afferma il contrario, crede anche a quello. Renzi, invece, non crede nemmeno lui a sé stesso; egli è pura parola (ma “le parole senza pensieri non arrivano al cielo”, Amleto). È irrimediabilmente un personaggio della commedia all’italiana, uno la cui furbizia è motivo del suo successo almeno quanto sarà causa della sua sventura.

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