domenica 31 dicembre 2017

Fine anno con Daniela!


Il politicamente corretto, nuovo manganello del potere
Sono tutti Charlie, ma solo se gli sparano. Nato per non umiliare deboli e discriminati, oggi è strumento di controllo dei forti
Il politicamente corretto, nuovo manganello del potere

di Daniela Ranieri

Non vorremmo rompere l’incanto festivo di una Nazione finalmente pacificata, in cui il conflitto è stato miracolosamente sopito e l’armonia riportata tra le genti grazie alla “forza tranquilla” dei potenti che l’hanno governata negli ultimi 3-4 anni. Ma ci sia concesso il piccolo lusso di suonare una nota stonata nel coro di angeliche voci.

Matteo Renzi che mette mano all’iPhone e cavalca vibratamente l’indignazione di Lucia Annibali per l’uso della parola “acido” da parte di chiunque non sia stato sfregiato dall’acido, segnatamente del direttore di questo giornale, non è che l’ultima scena del teatro dell’assurdo di questo anno dominato da un frainteso senso del politicamente corretto che pare tanto, piuttosto, un tentativo politico di correzione del dissenso.

È ormai ovvio che la lotta contro la fake news (degli altri) intentata perigliosamente dal Pd renziano, con l’invenzione di un comicissimo “algoritmo-verità” in mano ad agenti speciali in forza all’amico cyber-smanettone Marco Carrai, non è che una fake news al quadrato, un modo per abituarci al silenzio bovino a cui si vorrebbe ridurre ogni voce discorde, specie sul web (che al contrario dei giornali e della tv non è ancora controllabile manu militari); e che in generale i decaloghi contro il “linguaggio d’odio” (come quello fatto stilare dalla presidente della Camera Laura Boldrini) e la “guerra alle bufale” (come da risoluzione approvata dal Parlamento europeo per “contrastare la propaganda nei confronti dell’Ue” e dei “partenariati transatlantici”) non sono che lo strumento con cui le élite, sentendosi franare il terreno sotto i piedi, tentano disperatamente di salvare sé stesse.

Perché a voler sottilizzare è Renzi, non noi, a incontrare i padroni del silicio nelle sue vacanze vanziniane in California, in specie il Re di Facebook Mark Zuckerberg, al quale Boldrini ha pure scritto una lettera via Repubblica perché chiudesse immantinente le pagine che inneggiano al fascismo (semmai servisse la prova che la legge Fiano era all’uopo del tutto inutile). Ed è sempre l’ex e aspirante ri-premier, nonostante le scuffie che prende ininterrottamente da tre anni, a rivendicare il diritto di esibirsi nella sua nota e discutibile virtuosità sfottitoria e nella diffusione di smaccate fole via web (“un milione di posti di lavoro in più” col Jobs Act), che però, siccome provengono da uno che decide le liste del Rosatellum, si chiamano “campagna elettorale” e non post-verità.

Hanno tentato di far passare il messaggio che il male della società sono i toni con cui racconta il potere chi non ne fa parte, se persino la satira è costretta ogni volta a subire un lavaggio dentro la centrifuga sterilizzante di ciò che è gradito al potere. È successo in Turchia, dove Erdogan, col consenso della Merkel, ha trascinato in tribunale un comico tedesco che in uno sketch lo aveva sospettato di fare sesso con le capre; ed è successo al nostro giornale, che dopo essere stato sbeffeggiato alla Leopolda davanti a un pubblico di gregari fantozziani e poi ancora offeso in tv dal capetto con l’ironia sottile che lo contraddistingue (“il Falso Quotidiano”), ha subìto l’estate di un anno fa la lavata di testa della comitiva delle larghe intese per una vignetta più vera del vero di Riccardo Mannelli, che si permetteva di ritrarre la vestale del renzismo seduta mezza scosciata come lei stessa, pari pari, appariva in una foto pubblicatissima scattata a una festa dell’Unità. E succede alle vignette di Natangelo sul “cosciometro”, giusto perché sia chiaro che siamo tutti Charlie, sì, ma solo se si tocca Maometto, mica la Boschi (una che disse di voler essere giudicata per le riforme e non per le forme, furbescamente includendo il proprio corpo nel discorso politico fingendo di volerlo escludere), e comunque solo se qualcuno ci entra in redazione e ci buca le budella, perché fino ad allora abbiamo il guinzaglio corto.

E pensare che il politicamente corretto è nato con l’intento nobile di non umiliare categorie di persone sfruttate o emarginate e si è poi trasformato, specie da noi dove tutto è farsa, in uno strumento con cui i forti possono far valere la loro autorità mantenendo l’illusione della propria superiorità morale. Tra il politicamente scorretto di Trump e il finto politicamente corretto dei nostri governanti, tra l’epilettico e l’imbecille, insomma tra il nefando e il furfantesco, non si sa chi disprezzare di più. Sappiamo solo che certe cose, noi, non le possiamo dire né scrivere, anche prima che entri in funzione il temibile algoritmo-verità (l’ultima, dopo le video-scuse degli automobilisti ai vigili insultati, riguarda una casalinga di Trento denunciata per vilipendio alle Forze Armate per aver postato su Facebook una barzelletta sui carabinieri), perché persino una metafora, una battuta o un’iperbole (quale è chiaramente quella sulla legislatura da sciogliersi nell’acido) possono trasformarsi in un capo d’accusa.

Bizzarro, ma neanche tanto, che le categorie più suscettibili siano anche le più fondamentaliste: i credenti, musulmani e cristiani su tutti, gli antiabortisti e i familydayisti di vario ordine e grado, i multiculturalisti a ogni costo. O le più paracule, come quelle donne che si fanno usare da un maschio come majorettes del potere e usano poi l’argomento del sessismo contro chiunque osi criticarle per il loro operato.


Senza contare che una sinistra (o presunta tale) che si concentra ossessivamente sul politicamente corretto trascura e anzi annulla l’opportunità della sovversione anche estetica insita in qualsiasi politica progressista, ma vabbè.

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