venerdì 10/03/2017
Renzi e la ribollita del Lingotto
di Daniela Ranieri
Matteo Renzi dovrebbe ringraziare il colpo di teatro che l’inchiesta Consip ha prodotto nella sua sceneggiatura infiacchita, con tutti quei personaggi alla Amici miei che ogni giorno sortiscono dai brogliacci (i babbi, i sindaci della Valdarno, i carabinieri con la braciola tra i denti, i traffichini di provincia, il parroco che avvisa i giornalisti che babbo Renzi potrebbe “sparare”); altrimenti di lui non avremmo quasi più parlato, e la sua vicenda politica avrebbe potuto considerarsi chiusa.
Brutta storia, per uno fissato di storytelling che era partito consigliando ai suoi di ispirarsi a House of Cards (“Si potrebbero alternare gli strumenti tradizionali di formazione politica con le serie tv americane”) ed è finito in Casa Vianello. Perché al netto delle indagini a carico del padre e del migliore amico suo (e nostro ministro della Repubblica), sulle quali comprensibilmente ha ben poco da ricamare, il personaggio-Renzi, a dispetto della moltiplicazione dei canali di comunicazione, appare completamente afono. O meglio, parla, ma siccome dice sempre le stesse tre-quattro cose decotte sulle quali quasi 20 milioni di persone hanno messo la sordina il 4 dicembre, si produce quel fenomeno studiato dai neurologi per cui il cervello filtra automaticamente il contenuto avvertendo solo un vago e fastidioso rumore di fondo.
L’altra sera a Porta a porta, dove lui e la Boschi, dopo i fasti di un tempo, rappresentano ormai un case study di quanto sia possibile abbassare lo share partendo da una data percentuale media, non è riuscito a produrre altro che un fruscio anodino tipo musica da ascensore, nonostante i giornali del giorno dopo si siano prodigati a rimpolpare l’ossobuco del suo discorso con qualche fraserella ad effetto. Ormai pronuncia frasi minacciose tra l’indifferenza generale. A Emiliano, suo competitor alle primarie, ha tuonato di non speculare sulla salute delle persone (“Non giochi sui vaccini per prendere voti!”), lui che proprio a Porta a Porta disse: “Con la riforma, un bambino malato di diabete avrà lo stesso livello di cure in tutte le regioni”, mentre la Boschi andava in giro a dire che solo col Sì si sarebbero curati tutti i malati di tumore.
Dopo aver sistemato Gentiloni con le stesse, identiche parole che riservò a Letta (“Resta se fa le cose”), ha ripercorso tutto il suo repertorio di sketch e calembour, come fosse un attore in disgrazia e non un giovane leader: “I processi si fanno in tribunale e non suoi giornali”, “la politica si faccia con il sentimento non con il risentimento”, “si fa credere che il problema della sinistra sia Renzi”… Uff, che barba, che noia. Alla fine si è autodenunciato: “Non credo sia un reato la ribollita”. Lui intendeva che non esiste un capo di imputazione di toscaneria, ma l’immagine ci ha fatto balzare alla mente, per associazione involontaria, che ormai la sua retorica ha la stessa freschezza della famosa zuppa riscaldata delle sue parti. Almeno B. sapeva che il successo del varietà è la monotonia, e perciò cambiava per essere sempre uguale (ultimo colpo: apparire in un McDonald’s di Segrate). Mentre Renzi ha dovuto mettere in giro da solo la fake news che esiste un Renzi 1, ottimista e nuovista, amato dal popolo, e un Renzi 2, cinico e indurito, con gli esegeti a commentare pregi e difetti delle due personalità, peraltro una peggio dell’altra. Hai voglia a dire che è cambiato e ha imparato dai suoi errori. Renzi sa fare solo Renzi. È come una siringa monouso, che è inutile far bollire, ma bisogna solo cambiare.
È lecito immaginare che al Lingotto, dove da oggi si tiene parte del congresso del Pd, riproporrà lo stesso catalogo: sarcasmi verso i fuoriusciti; rivendicazione dei 1000 giorni; vittoria alle europee del 2014 come benchmark per battere i populismi; riproposizione di sé stesso come tedoforo del nuovo. Ecco: ci vorrebbe che qualcuno si alzi e gli chieda di quanto tempo pensa di avere bisogno per dimostrare se è capace di governare, visto che 3 anni gli sembrano pochi. Del resto, al grido di battaglia “Il futuro, prima o poi, torna”, s’è messo “in ticket con Martina”, che quando lo abbiamo letto, con quella faccia da Cassa Mutua che si ritrova il ministro, abbiamo creduto che per le primarie si voterà nelle Asl.
Al Lingotto Renzi potrebbe benissimo mandare una cassetta registrata, un #matteorisponde, partecipare in contumacia o apparire in ologramma come Assange, e nessuno se ne accorgerebbe. Il Lingotto sarà una Leopolda (ce lo fa credere la promessa di Renzi: “Il Lingotto non è una Leopolda”), solo che costerà di più. È proprio la stancante, fumosa retorica del nuovo sui cui ha costruito la sua breve e non gloriosa carriera a far apparire il futurista Matteo un malinconico personaggio fuori tempo massimo, simile a Charlie Chaplin in Luci della ribalta, che mentre il mondo è sull’orlo del baratro ripropone il numero delle pulci.
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