venerdì 15 aprile 2016

Prego, parli lei!


Avrei voluto dire tante cose al riguardo di quell'energumeno che ci sta succhiando sostanze, cambiando idea e posizione come se stesse giocando ai 4 cantoni, da 60 anni e che ancora non si è levato dai coglioni!
Ma, al solito, lascio volentieri la parola a "lui"... E siccome ho sempre fatto l'opposto di quello che ci dicono quest'emerito ed il Bomba, domenica andrò a votare! Anzi: andiamo a votare tutti!

venerdì 15/04/2016
Ex voto
di Marco Travaglio

“Pretestuoso”. L’emerito Giorgio Napolitano, dalle colonne dell’amica Repubblica (intesa come giornale), ha emanato il suo regio editto pro astensione, facendo il palo a Renzi nello scippo del referendum di domenica. E tutti gl’italiani devono essergliene profondamente grati. Sono 60 anni che, quando parla, è cosa buona e giusta fare l’esatto contrario: dal novembre 1956, quando montò sulla tribuna dell’VIII congresso del Pci per esaltare la sanguinosa repressione sovietica della rivolta d’Ungheria (“focolaio di provocazioni” e “controrivoluzione”) come un balsamico intervento per “fermare l’aggressione imperialista” e “la controrivoluzione”, finalizzato “non già a difendere gli interessi dell’Urss, ma a salvare la pace nel mondo”. Da allora il Peggiorista è una bussola per ogni sincero democratico: quando si schiera con qualcuno (da Kissinger a Craxi, da B. a Monti a Renzi) o contro qualcuno (Berlinguer, Prodi, i M5S, i magistrati indipendenti, la stampa libera, la Costituzione), tutte le persone perbene sentono il dovere di stare dall’altra parte. Ora la sua istigazione al non voto è un formidabile appello al voto. Naturalmente al Sì, visto che per lui il referendum è “inconsistente e pretestuoso”.

Quanto sia inconsistente, può andare a raccontarlo alla lobby dei petrolieri, che si sta mobilitando per l’astensione con geometrica potenza. Sfugge invece il senso di “pretestuoso”: il quesito è chiarissimo, ha raccolto ben più delle necessarie 500 mila firme, ha ottenuto i via libera della Consulta e della Cassazione, dopo i quali non è prevista l’autorizzazione a procedere degli emeriti. Ma forse Napolitano voleva dire “petaloso”, che avrebbe più senso. Siccome, come tutti i vecchi burocrati comunisti, ha buttato a mare l’ideologia ma non la prassi, il nostro conserva tutta la doppiezza togliattiana del peggior Pci. Tre anni fa giurò che mai avrebbe accettato la rielezione, poi l’accettò nel giro di un quarto d’ora. Quanto al dovere di votare (Costituzione, art. 48: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”) e rammentato agli smemorati dal presidente della Consulta, Napolitano lo afferma e lo nega a seconda delle convenienze. Il 6.6.2011, vigilia dei referendum su acqua, nucleare e “lodo” Alfano, dichiarò da presidente: “Io sono un elettore che fa sempre il suo dovere”. E il 23 giugno 2011 scrisse a Marco Pannella, per convincerlo a sospendere lo sciopero della sete, magnificando “lo strumento referendario come elemento di democrazia diretta”.

Ed elogiò “la grande attenzione da te sempre prestata alle regole che presiedono alla partecipazione elettorale dei cittadini, segno di una costante preoccupazione per la necessità di un consapevole e attivo coinvolgimento dei cittadini nella vita politica del Paese e della volontà di combattere fenomeni di distacco e disinteresse verso la vita pubblica”. Ora invece basta la parola “petrolio” per il Contrordine Compagni: “Non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria”. Forse, dinanzi allo scandalo del premier e dell’ex-presidente che incitano all’astensione, il presidente in carica Sergio Mattarella potrebbe persino dire due parole, oltre a far sapere con i consueti segnali di fumo che andrà a votare: d’accordo, il tema non sarà appassionante come il Vinitaly, però magari qualche monosillabo potrebbe starci.

Già che c’è, Napolitano approfitta dell’intervista a Repubblica per sganciare una raffica di supermoniti terra-aria. 1) Contro chi ha osato votare contro la schiforma costituzionale che porta, oltre a quelle di Renzi, Berlusconi, Boschi & Verdini, le sue auguste impronte digitali: se Renzi se l’è votata da solo è colpa delle opposizioni poco “costruttive”: l’ipotesi che abbian votato contro perché la schiforma fa schifo non lo sfiora. 2) Contro chi parla di rischi autoritari: “Siamo giunti veramente al di là di ogni misura, non bisognerebbe lanciare allarmi per la libertà e la democrazia”: parola di un vecchio fan dell’Armata Rossa. 3) Contro chi non ha “mai proposto modelli alternativi” di riforma: una balla bella e buona, visto che i costituzionalisti del No, da Zagrebelsky in giù, e nel suo piccolo anche questo giornale, hanno avanzato alla Boschi varie controproposte, ovviamente ignorate. 4) Contro le opposizioni che si oppongono e vorrebbero addirittura – dove andremo a finire – “far cadere il governo” il che non sta bene, non si fa, pare brutto: ci sono “gli appuntamenti elettorali” che “servono a far esprimere i cittadini su un eventuale cambiamento del governo”: tipo quello del 2013, quando gli elettori bocciarono B. e le larghe intese e lui si fece rieleggere per riesumare le larghe intese e riportare B. al governo. 5) Contro la Procura di Potenza che si permette di indagare sui petrolieri che si comprano leggi ed emendamenti à la carte: “qualcosa di molto confuso tra politica e giustizia”, in spregio alla “assoluta distinzione dalle responsabilità proprie del potere esecutivo e legislativo”. Come se governo e Parlamento potessero impunemente vendersi le leggi ai petrolieri. E come se il principale reato contestato, il traffico d’influenze illecite, non l’avesse promulgato lui nella Severino del 2012.

Ma anche di quest’ultimo monito bisogna ringraziare di cuore il deposto Re Giorgio: perché ci ricorda tutti i danni che per nove anni ha fatto all’Italia e il pericolo scampato da quando se n’è andato. Fosse ancora al Quirinale, queste corbellerie avrebbero il timbro del capo dello Stato. Invece sono ormai i gargarismi di un nonnetto impiccione che non si rassegna alla pensione.

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