venerdì 19 giugno 2015

Prove tecniche


La mano cercava dissennatamente la clip della lampada visto che il compartimento udito stava registrando strani rumori, insoliti per una notte afosa come quella immersa nella campagna toscana. Erano effetti sonori ondivaghi, a volte raggelanti, provenienti da un lato della casa, quello dove la veranda tendeva ad abbracciare il melo piantato tanti anni or sono dallo zio del cercante fotoni. 
Più il sonno abbandonava, spazientito, il nostro più il rumore aumentava divenendo il centro del tempo, la scatola chiusa posta al centro di una stanza vuota. Gli occhi ancora maliziosamente complici del buio da una parte speravano di continuare a funzionare nell'oscurità dall'altra no. 
Quel suono misterioso, quello sfrigolio nella campagna, quel rigirarsi in un letto emesso dal prato, incuteva paura, quasi terrore.
Fu allora che il proprietario della mano decise di desistere dall'accendere la luce. Era meglio alzarsi piano piano ed andar a rimirar furtivamente chi o cosa era davanti a casa. Alzatosi con la delicatezza di un cesellatore accortosi che lo scaffale delle ceramiche dipinte su sfondo d’oro stia cedendo, il giovane impaurito dirigendosi nel corridoio adiacente le camere e sfociante nel tinello ove la sorgente del suono sinistro si sarebbe potuta mirare, avvertiva che dinanzi a lui flebilmente sfiorato dalla luce della spia della Playstation, s’ergeva qualcuno, appoggiato alla parete e rivolto verso la parte di casa al cui fondo s’insedia la camera del nostro amico, che ancora non conosciamo.

Sean, questo il suo nome, appena sbucato dalla porta s’accorge quindi della presenza e rimane immobile più di un camminatore che abbia appena letto “attenzione campo minato” sul cartello infisso nel prato che sta percorrendo. 
Cercando di abituarsi sempre più alla notte ed evitando perfino di deglutire, Sean ad una distanza di circa quindici metri a mo’ di duello rimira l’ospite inatteso: una grande statura, un corpo enorme, respiro non pervenuto. La luce flebile di color azzurro rivela una raggelante sensazione: illuminando in basso la zona ove staziona lo sconosciuto, par intravedere delle zampe uncinate, modello dinosauro, che danno la sensazione di contrarsi spasmodicamente. 
L’inizio della sudorazione dietro la schiena con il classico rivolo ghiacciato, conferma di come Sean si stia cagando addosso dalla paura. 

Quello che nei film genera terrore, lui lo sta vivendo in diretta: un rumore strano fuori nel prato, una presenza stranissima in casa davanti a lui e soprattutto la solitudine tipica dei migliori gialli, quelli da Agatha in poi. Mai avrebbe pensato di trovarsi in una situazione letta in qualche fumetto al tempo della naia, quelle letture che ti fanno affrettare il passo verso sera e salire a due a due le scale per depositare animo e corpo nella rilassatezza di una casa abitata con altri, di un rifugio sereno al punto di annientare pensieri paurosi. 
Nessuna scarica elettrica attraversava i suoi neuroni anzi gli sembrava che neanche il muscolo incaricato di smistare i globuli nel corpo, vulgo cuore, desse segno di vita, smentendo la famosa frase “cuore in gola”. Nessun movimento, nessuna voglia di scappare si erano impossessati del poveretto. 

Il rumore fuori parve aumentare e dalla finestra della sua camera improvvisamente il cono di luce confezionato dal lampione che investe il melo, cambiò fisionomia decretando il movimento di qualcuno, o qualcosa, all’esterno. 

A Sean gli parve di iniziare il processo che porta allo svenimento: sudorazione, indebolimento dei sostegni inferiori con inizio impercettibile di rigidità muscolare atta a generare un ipotetico crampo, praticamente la sua morte violenta. 
Cercò di guardare meglio nella zona ove l’essere stazionava e come l’arrivo del sordo rumore in lontananza preannuncia un temporale, il cigolio della porta d’ingresso annunciò l’entrata di qualcuno... o qualcosa!
Sentì distintamente il passo nel tinello del nuovo arrivato: era felpato ma non troppo, lasciava intravedere la presenza di un qualcosa atto a grattare il legno del pavimento della stanza. Gemendo silenziosamente ed arrivando a lacrimare, Sean iniziò nella penombra a rimirare l’auto-invitatosi: alto quasi due metri, vestito di scuro luccicante, una forma di testa inusuale quasi come se indossasse un casco da motociclista, due.. anzi quattro (quattro?) braccia che si muovevano con una coordinazione innaturale, una cintura che poteva vedere per via di impercettibili scariche elettriche simili a quelle che l’accendi forno emana una volta premuto il tasto, due gambe possenti terminanti, al solito, con delle zampe corredate da artigli, che non facevano rumore come l’apparenza avrebbe suggerito. 
L’entrante si avvicinò all’altro, sempre felpatamente e i due parvero comunicare, ma attraverso un qualcosa che gli usciva dalla bocca, una specie di lingua saettante il cui rumore ogniqualvolta incontrava l’altra, era simile al tocco bonario del frustino dato dal fantino al cavallo per comunicargli di iniziare la passeggiata quotidiana.
Sean oramai era arrivato al centro della Terra, non era più in sé dato che il suo cervello aveva iniziato le procedure di sicurezza, atte ad evitare infarti, ictus e quant'altro. Non recepiva nitidamente nessun segnale che occhi ed orecchie inviavano in cervice. Non pensava a ciò che aveva di fronte, non aveva voglia di scappare, non temeva per la sua vita. Era come un pescatore seduto sul pontile che vedesse svuotarsi il lago perché bevuto da una proboscide enorme comparsa a fianco di lui, presagendogli di avere alle spalle un essere alto almeno sessanta metri!
In quei frangenti pare che si pensi soprattutto a soffrir meno, dando per scontato il fatto che il momento finale sia arrivato. 

Sean essendo quasi ibernato non s’accorse che le teste dei due si voltarono improvvisamente dalla parte dove egli stazionava in modalità statua. Sean non vide neppure i quattro led rosa-rossi che lo stavano rimirando e che molto probabilmente erano gli occhi dei misteriosi esseri. Sean era irrorato di sostanze dopanti che quasi lo stavano totalmente estraniando dalla scena. Uno dei due si mosse in direzione del povero, con il solito adagio, con la solita insonorizzata falcata. Fu allora che Sean, ridestatosi, s’accorse del movimento e per reazione afferrò la prima cosa che gli venne in mano, un soprammobile in ceramica raffigurante due anziani seduti su una panchina, uno con il giornale e l’altro rimirante il paesaggio. Era un regalo della zia oramai scomparsa da due anni e gli scivolò dalle mani andando in mille pezzi sul pavimento. 

Gli attimi successivi devono per forza essere narrati alla moviola: l’essere in movimento si arrestò incuriosito, l’altro spostatosi per il frantumar della ceramica, accese inavvertitamente la luce del corridoio. 
Sei paia di occhi rimirarono improvvisamente l’ambiente. Sean vide davanti a sé due esseri inqualificabili, nel senso che mai aveva visto qualcosa di simile neppure nei documentari di scienza su Discovery. Gli altri due lo rimirarono emettendo un suono altissimo, simile ad un fischio ed improvvisamente voltandosi, corsero o meglio, saltarono ad ampie falcate verso l’uscio scomparendo. Sean continuò ad udire il fischio sempre più assimilabile ad un urlo, seppur non di questa terra. 
Non fece tempo a riassettare le idee che una forte luce color amaranto proveniente dall’esterno lo avvolse e subito dopo vide un oggetto sollevarsi all’altezza del ciliegio lontano e scomparire velocemente nel nero cielo orfano della Luna. 

Rimase immobile non si sa per quanto, minuti, ore? 

Nella mente scorrevano immagini, suoni, effetti, sensazioni senza che qualche neurone miracolosamente ancora efficiente potesse raggruppare, analizzare tali dati per giungere ad una conclusione nitida che potesse scatenare finalmente una qualsiasi tipologia di reazione, facendo assimilare e smaltire gli eventi avvenuti nella notte, notte che stava esalando gli ultimi respiri per l’avanzar della luce, mai tanto amata come in quel momento da Sean.

Riudì in lontananza un rumore, questa volta identificabilissimo: era la macchina di Jean, la sua compagna di ritorno dal turno di notte all’ospedale della città. 
Sean non si mosse. Attese in loco la sua bella che andandogli incontro, gli sorrise esclamando: “Ciao amore! Ma quanto sei bello tesoro!”

“Sicura?”  

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