Mathilde Auvillain, giornalista francese e Stefano
Liberti, giornalista italiano, firmano un servizio su Internazionale dal titolo
"il lato oscuro dei pomodori italiani" che dopo la lettura ti porta a
spegnere la luce, accendere la musica ed esclamare "ma che mondo di merda
è mai questo?"
Riepilogo brevemente: Prince Bony è un immigrato ghaneano,
trent'anni, una moglie e due figli che tra l'altro non vede da sette anni.
Prince
lavorava in Ghana, raccogliendo pomodori una risorsa unica per il paese. Decise
però di far fortuna e venne in Italia: 3,5 euro per ogni cassa da 300 kg
raccolta, ovvero neanche 20 euro al giorno, dormendo in casolari abbandonati,
con materassi gettati a terra e qualche fornellino per cuocersi pasti da
schiavi.
Si!
Da schiavi.
Perché nella Capitanata, in provincia di Foggia, da
dove proviene il 35% dei pomodori italiani, vige una forma acuta di schiavismo,
sotto gli occhi di tutti, vescovi compresi.
A Navrongo la terra di origine di
Prince, una volta si raccoglievano pomodori alla grande!
Ora non più.
Perché in
Ghana ora si consuma concentrato di pomodoro, scatolette che costano meno
grazie ai programmi finanziari del Fondo monetario internazionale, una spelonca
di ribaldi, che abbassando i dazi doganali ha permesso di far entrare nella
terra di Prince, scatolette di concentrato.
E dove viene prodotto il pomodoro
in scatola?
Anche dalle terre dove Prince si spacca la schiena, in schiavitù!!
Perché
grazie ad un'altra istituzione del menga, l'Unione Europea, le aziende che
producono pomodoro in scatola, oltre che a succhiare e sfruttare povera gente
nei campi, riceve sussidi da Bruxelles, 34,5 euro a tonnellata, che permette
loro di essere molto competitivi, con prezzi irraggiungibili dalle oramai
fallite aziende del Ghana.
Nei mercati rionali di quel paese africano, sono
spariti i prodotti freschi.
La gente vende scatolette.
Scatolette con pomodori
raccolti anche in Italia, da Prince ed suoi compagni, nuovi schiavi di questo
tempo, di questo mondo, palesemente di merda!
Bleah!
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