sabato 8 novembre 2025

L'Amaca

 

L’uomo che danza con i robot
di Michele Serra
Verrà un tempo (non può non venire) in cui l’osceno giubilo di Elon Musk per i suoi miliardi, ormai incalcolabile somma dentro la quale nessuno sa più leggere, saranno visti non come il trionfo dell’innovazione, ma come il culmine della decadenza.
L’uomo che balla con i robot, quasi sempre solo sul palco mentre una piccola folla di clientes lo applaude sperando nelle briciole, mette malessere solo a guardarlo. Raffigura un capitalismo da ansiolitici, squilibrato e finale, coinvolgente solo per i pochi disposti a quella lugubre estasi, indifferente alla normalità, alla vita quotidiana degli umani, alla semplicità delle cose che rendono sicuri e felici. C’è un patologico surplus di vanità e di ambizione, in quelli come Musk, che surclassa la normale vitalità del capitalismo “classico”, disperde per sempre la dimensione paternalistica eppure sociale del vecchio padronato industriale. Lo dicono prima di tutto i numeri: per ogni miliardo contemporaneo, meno di un decimo dei posti di lavoro rispetto al miliardo novecentesco.
È un capitalismo che genera poche star e una platea smisurata di applauditori invidiosi e frustrati. Di esclusi travestiti da followers, digitatori febbrili alla ricerca di un varco nel jackpot finanziario, che niente ha più a che fare con il lavoro e con il merito. Il contagio economico del boom della seconda metà del Novecento, i padroni che generavano padroncini (fu il modello del boom italiano), il potere d’acquisto che lievitava, i diritti che si rafforzavano, non ha più niente a che fare con la danza impazzita di un’oligarchia che vede e sente solo se stessa. Musk, almeno, è fascista: non simula empatia con alcuno. È il suo solo elemento di lucidità.

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