giovedì 27 novembre 2025

A proposito di medioevo

 

Da Hitler a Stalin, da Putin a Almirante: u n'epoca poco capita e molto strumentalizzata
Povero Medioevo, frainteso da tutti perché il potere lo manipola da sempre
di Federico Canaccini
L'età medievale è spesso – oggi meno di un tempo – associata ad un'epoca di guerre e di devastazioni: dalle invasioni barbariche del Quinto secolo, passando per i saccheggi dei Vichinghi e dei Saraceni, fino alle razzie degli Ungari e dei Mongoli. Un clima costante di paura dunque, costellato di battaglie e di assedi: in realtà questa visione è stata parzialmente modificata e ridimensionata dalla storiografia più accreditata che, ad esempio, preferisce parlare di migrazioni di popoli, anziché di invasioni barbariche, con un atteggiamento degli storici europei di oggi più aperti verso l'Altro, consapevoli dell'apporto dei vari popoli al mondo dei nostri giorni, e consapevoli anche dei gravi rischi delle distorsioni che la storiografia ha fatto in passato.
Il Medioevo sarebbe stato inaugurato da una serie di invasioni da parte di popoli rozzi e assetati di sangue che umiliano i cives romani, distruggono una fiorente civiltà, devastano città ricche di teatri, biblioteche, terme, acquedotti, templi. Così un anonimo descrisse la situazione dell'Impero nella seconda metà del Quarto secolo: «L'Impero romano è premuto da ogni lato dalle urla furibonde delle tribù dei barbari, la cui astuzia minaccia le sue frontiere da ogni fronte».
Tra i vari popoli barbarici, alcuni hanno lasciato il segno, tramandando nella memoria collettiva europea – per non dire italiana – un che di spaventoso: «Le loro bestiali e crudeli atrocità non conoscono limiti: distruggono qualsiasi cosa incontrino sul loro cammino, con saccheggi, uccisioni, torture di ogni sorta, incendi e numerosi altri crimini indescrivibili. Non si fermano davanti a nulla e uccidono donne, bambini, vecchi, sacerdoti e altri ministri del culto, devastando le decorazioni delle chiese e di altri edifici».
Se questo ritratto del popolo vandalo corrisponde anche parzialmente al vero, è comprensibile come abbia dato vita a espressioni quali "atti vandalici" e "vandalismo" che, dopo quindici secoli, ancora evocano l'idea della devastazione: guidati dal loro re Genserico, i Vandali misero a ferro e fuoco la città di Roma per due settimane provocando un enorme shock in tutto l'Occidente.
Questo attacco al cuore dell'Impero è rimasto come una macchia nella storiografia romanistica che vedeva nei popoli germanici quasi gli ‘assassini' di un Impero in realtà oramai al collasso e morente. Negli anni Venti del Novecento, questa visione fu recuperata dalla propaganda fascista che, con mire coloniali e imperialiste, ritrovava nella grandezza di Roma le proprie radici e, in chiave razzista, rinveniva nel progressivo imbarbarimento dell'Impero la giustificazione della sua crisi e del suo crollo. Nel 212 d.C. l'imperatore Caracalla – definito "un nemico d'Italia e del popolo romano" dall'intellettuale fascista Ettore Pais – emanò un editto tramite il quale si concedeva la cittadinanza romana a tutti i cives dell'Impero. Un giovane Giorgio Almirante propose come causa di tutti i mali proprio questo editto, da intendersi "come uno dei più clamorosi esempi che la storia di Roma può offrire al riguardo, meglio di qualsiasi disquisizione a fare intendere l'enorme importanza del fattore razza, nella parabola discendente della romanità.
Arriviamo a un ultimo episodio. Nel 1938 fu proiettato nelle sale cinematrogafiche un capolavoro di Ejzenstejn, Alexander Nevskij: benché ancora da modificare, Stalin lo lanciò anzitempo nelle sale anche perché il cavaliere russo era rappresentato come pater patriae, così come desiderava essere percepito Stalin. L'obiettivo propagandistico, compiuto grazie a una narrazione realistico-socialista, era di idolatrare il leader, ravvivare l'unità nazionale, rinfocolare la paura dell'antico nemico, chiarendo che, se attaccata, la Russia non avrebbe ceduto facilmente: «Chiunque entri da noi con una spada, morirà di spada!», esclamava Nevskij nel film. Nel 1939, a conferma dei reciproci timori, fu firmato il patto di non aggressione Molotov-Ribbentropp, ma nel 1941, contro la Russia di Alexander Nevskij, Hitler scatenò l'Operazione Barbarossa, in onore dell'imperatore svevo. L'invasione dell'Unione Sovietica decretò la fine del Nazismo e la propaganda russa ha sfruttato tutto questo in chiave nazionalista sino ai giorni nostri: il film sembrò quasi a prefigurare la sorte dei Nazisti, inghiottiti dall'Inverno russo.
Nel 1725 Caterina I inaugurò l'Ordine imperiale di Sant'Alexander Nevskij, un ordine cavalleresco e un'onorificenza militare concessa ai cittadini russi distintisi in guerra: due secoli dopo, l'Ordine veniva cancellato dalla Rivoluzione d'Ottobre, ma l'eroe nazional popolare, non poteva passare inosservato a Stalin che aveva già incoraggiato la pellicola. Nel 1942, sul manifesto del film campeggiavano le parole di Stalin: «Lascia che l'immagine coraggiosa dei nostri grandi antenati, ti ispiri in questa guerra».
Nello stesso anno fu riesumata l'onorificenza Nevskij, eliminando le diciture di ‘Imperiale' e ‘Santo': nella nuova realtà sovietica, infatti, non c'era spazio per i santi ma in realtà, benché la sede di Mosca fosse vacante dal 1925, la Chiesa Ortodossa, in occasione della guerra, fu a fianco del popolo e del regime. Il patriarca Sergio esclamò: «Non è la prima volta che il popolo russo deve sopportare tali prove. Con l'aiuto di Dio anche questa volta ridurrà in polvere la forza nemica fascista. La Chiesa di Cristo benedice tutti i cristiani ortodossi affinché difendano i sacri confini della nostra Patria».
L'avvicinamento tra Chiesa e Regime, fino ad allora impensabile, si realizzò in concomitanza alla lotta contro Hitler: la sinergia tra fede e ragion di stato trovò il suo apice nel 1943, quando Sergio fu eletto Patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Stalin optò per una riconciliazione col clero per coinvolgere l'intero popolo in una guerra dai toni religiosi che, per una volta, sigillava quell'epica missione nazionalistica dell'Unione Sovietica e che veniva benedetta dai suoi santi guerrieri, in testa Sant'Alexander Nevskij.
E arriviamo a oggi. Il 7 settembre 2010 è stato rifondato da Vladimir Putin l'Ordine di Alexander Nevskij, in sostituzione di quello stalinista: l'onorificenza viene concessa a personaggi di servizio pubblico per meriti nella costruzione dello Stato, per la cultura, l'industria e altre attività. Tra gli insigniti c'è anche il patriarca Cirillo le cui parole, dopo l'invasione in Ucraina, suonano sinistre.
«L'offensiva in Ucraina è una lotta contro il Nazismo, contro le forze del Male i nostri soldati stanno portando a termine la missione dei nostri antenati che combatterono la Grande Guerra Patriottica. Siamo entrati in una lotta che non ha un senso fisico, ma metafisico. Stiamo parlando di qualcosa di molto più importante della politica. Si tratta della salvezza umana, di dove andrà a finire l'umanità, del posto che occuperà alla destra o alla sinistra di Dio».
Questo non avveniva nell'oscuro Medioevo, ma nel 2022. —

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