L’occhio di Nordio per i “cold case”
DI PINO CORRIAS
A Carlo Nordio, ministro di Giustizia, non fa difetto la grazia del tempismo. Aveva appena finito di spararla grossa sui Cold Case da lasciare andare al loro indistinto destino, che gliene hanno risolto uno sotto al naso, nel suo Veneto dove crebbero lui e la sua carriera di magistrato d’alto profilo.
“Ogni tanto bisogna avere il coraggio di arrendersi e lasciare la verità agli storici”, aveva appena finito di dire il signor ministro, riferendosi all’omicidio di Garlasco che dopo 18 anni è finito nel labirinto delle impronte vere, finte, presunte e delle chiacchiere a vanvera. Intendendo per estensione i tanti “Casi Freddi” che galleggiano talmente a lungo senza verità che dopo un po’ vengono a noia.
Peccato che a Rovigo ne abbiano appena risolto uno più antico ancora, grazie alla corrispondenza tra il Dna repertato allora su un mozzicone di sigaretta trovato nell’auto abbandonata dai rapinatori e una tale Karel Dusek che soggiornava fino a ieri in un carcere della Repubblica Ceca. “Risolto dopo 27 anni il delitto dei Casoni”, titolavano i giornali locali, raccontando che il presunto colpevole, in quei giorni d’altro secolo, lavorava come lavapiatti nel chiosco delle vittime. Non c’erano abbastanza prove allora. Ce ne sono oggi, confermate dalla banca dati nazionale del Dna nata in Italia nel 2016.
I delitti di sangue non vanno mai in prescrizione, prescrivono i manuali del primo anno di Giurisprudenza e l’ex magistrato dovrebbe non averlo dimenticato a dispetto del cinismo ministeriale che considera i principi e le norme del Diritto sottomesse alla Ragion di Stato, come nel fangoso caso Almasri. Ma sì, chiudiamo, pazienza per le vittime, i familiari, le carte, il dovere, la giustizia, la memoria: versamene un altro, Sam, e poi andiamocene a dormire.
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