Flotilla, Mantovani: “La polizia voleva terrorizzarci: ‘Hai invaso Israele, cosa vuoi?’”
DI ALESSANDRO MANTOVANI
Il racconto dell'inviato del Fatto. I silenzi della Farnesina: non sa dire nemmeno chi abbia pagato il volo di rimpatrio degli italiani
Flotilla, Mantovani: “La polizia voleva terrorizzarci: ‘Hai invaso Israele, cosa vuoi?’”
A me come a tutti gli altri: a Cesare Tofani, uomo di mare, 71 anni compiuti il giorno della partenza da Portopalo, come a Dario Crippa, 25, bergamasco che studia Neuroscienze ad Amsterdam, Monterojo su youtube, che se va bene torna oggi col volo greco. L’abbiamo lasciato nel maledetto carcere di Keziot con altri due (su sei) che hanno navigato con me su Otaria. E a tutti gli altri, di tutti i Paesi.
Non che credessi alla storiella che Israele è “l’unica democrazia del Medio Oriente”, ma insomma pensavo potesse somigliare un po’ di più alle regole generalmente rispettate in Italia – non sempre specie con i migranti, va detto – e un po’ meno alle dittature. Almeno con i cittadini stranieri di Paesi “amici” come il nostro. Del resto i militari che hanno abbordato la barca ci hanno portato ad Ashdod erano stati più decenti: qualche vessazione, noi chiusi sottocoperta senza luce né aria, ma insomma ci hanno permesso pure di farci il caffè. Era un atto di pirateria in acque internazionali, ma ci eravamo arresi. Ai poliziotti però non bastava. Volevano umiliarci. Terrorizzarci.
Ho pensato di poter essere assistito, comunque, da una delle avvocate di Adalah che ho trovato nell’hangar in cui hanno compiuto le formalità del mio arresto, o meglio sequestro perché nessuno mi ha detto di cosa ero accusato, men che meno per iscritto. Si chiama Mais Abdallah, competente e molto smart, laureata ad Harward. Mais mi ha consigliato con rispetto firmare la cartuccella in cui accettavo l’espulsione e chiedevo di essere rimpatriato anche prima delle 72 ore previste. Non mi hanno dato copia. Neppure per un attimo, però, ho potuto parlare con lei senza che i poliziotti ascoltassero. Poi comunque mi hanno tolto la possibilità di chiamarla dal carcere: rubato anche il suo numero, addio Mais.
Finite le formalità mi hanno spogliato dei pochi beni che avevo: il portafogli con un po’ di contanti, la patente, la carta d’identità, la carta di credito, l’orologio, il braccialetto, due borse. Gli appunti me li avevano già tolti, senza verbale. Via la giacca, ero in calzoncini da barca, una polo e le scarpe da ginnastica. Un poliziotto mi ha fatto firmare un verbale in ebraico. Dico: “Non capisco cosa c’è scritto”. E lui: “Sei entrato illegalmente nel mio Paese, cosa vuoi da me?”. Veramente mi hanno preso a 60 miglia, in acque internazionali, nel suo Paese mi hanno portato i militari, ma il training nonviolento consigliava di non dirlo. Poi mi hanno tagliato anche i lacci delle scarpe, mi hanno ammanettato con una fascetta da elettricista e mi hanno pure bendato. Non bendavano tutti, alcuni sì e altri no. Io sì. Magari non amano i giornalisti, infatti a Gaza ci fanno il tiro al bersaglio.
Con la benda e la fascetta ai polsi mi hanno portato su un cellulare. Eravamo in 26: spagnoli, italiani, malesi, uno svizzero, uno del Bahrein, uno statunitense. Faceva un caldo boia, ci saremo stati tre o quattro ore. Per fortuna abbiamo imparato subito a toglierci le fascette. Ci siamo addormentati e ci hanno svegliato con l’aria condizionata a palla, a occhio la temperatura era scesa a 15/16 gradi. Infine il carcere, un inferno. In dieci in una cella già stretta per gli otto previsti, un bagnetto putrido, uno scarafaggio, l’acqua calda e al sapore di cloro del rubinetto del bagno, peperoni crudi e uova sode, pane e marmellata, un pugno di riso. Avanti e indietro da una cella all’altra chissà perché: anche in sedici ci siamo ritrovati in una cella da otto.
I primi 26 italiani tra cui me, sabato, li hanno rimpatriati i turchi. Fonti autorevoli riferiscono che il governo italiano non ha pagato neanche il volo di linea di Istanbul a Roma. La Farnesina non smentisce, o meglio l’ineffabile portavoce dell’improbabile ministro Antonio Tajani scrive di “non essere a conoscenza del dettaglio” se abbiano pagato il viaggio oppure no. Chissà se oggi fanno pagare ai greci il viaggio degli altri 15 italiani rimasti a Keziot, che voleranno su Atene secondo l’annuncio di Tajani. Il governo spagnolo ieri “si è fatto carico” di rimpatriare 21 spagnoli, 4 portoghesi e 4 olandesi. I greci oggi porteranno 70 persone ad Atene, compresi 28 francesi e i 15 italiani. Resteranno però almeno 220 prigionieri nel deserto del Negev, chi è stato lì non può dormire tranquillo. Nessuno dovrebbe.
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