State allegri, è solo la fine del mondo
di Michele Serra
“Non si sa dove andremo a finire”, dicevano le persone bene educate e di buoni princìpi, quando ero ragazzo, di fronte alle turbolenze dell’epoca. La nuova disinvoltura sessuale, gli scioperi operai, i cortei studenteschi, la minigonna, i capelloni, le prime parolacce in televisione, ogni sconquasso piccolo o grande che minacciava di far deragliare le vecchie consuetudini (alcune delle quali, poi, effettivamente deragliate) erano l’innesco di quell’amaro sconcerto: di questo passo, non si sa dove andremo a finire.
È il “signora mia” di Arbasino nella sua quintessenza, l’eterna complicità tra gli spettatori impotenti di ogni epoca, la piccola gente che borbotta spaventata, o indignata, perché il mondo le cambia sotto i piedi senza neanche averla avvertita prima. Beh, ve la dico tutta d’un fiato: il mio terrore è invecchiare (o essere già invecchiato) borbottando a mia volta “non si sa dove andremo a finire”. Nei momenti di maggiore lucidità, o di minore vanità, mi guardo con sospetto e intravvedo il perbenista democratico che si mette le mani nei capelli perché il mondo, dannazione, ha deciso di non dargli più retta. Ah, signora mia, quel Trump! E quel Milei, con quella pettinatura! E quel Netanyahu, un pazzo che traccia i confini con la Bibbia! E quel Putin, con la sua fanteria che uno ne ammazzi, cento ne arrivano, sa come sono i russi! E i nazionalismi, le guerre, le picconate al welfare, l’intelligenza artificiale che già governa il mondo e non ce lo dicono, e i droni che ormai li fanno piccoli come mosche e ti ammazzano entrando dall’orecchio, e quei miliardari cafonissimi che non pagano le tasse e con la refurtiva si comperano Marte, e la fine di ogni inibizione e ogni regola democratica, e il bavaglio alla libera stampa, e le fake news, e la magistratura sotto tiro, e i cinesi che si sono mangiati l’Africa, e l’Europa che conta come il due di picche: dove andremo a finire, di questo passo?
Intendiamoci: il precedente elenco (a partire dall’orrido Trump) ha ben poco di fantasmatico, molto di realistico. Non è una forma di paranoia democratica a ingigantirlo, è lo scenario politico di un’epoca – questa – che predilige i mostri, siamo in una fase splatter del grande spettacolo del mondo, dal “vieni avanti, cretino”, siamo passati al“vieni avanti, Godzilla”. Che a pensarci bene è perfino peggio di “vieni avanti, fascista”, perché i fascisti già li conosciamo, i mostri sono sempre un’incognita. Ed è perfettamente vero che i diritti umani, la democrazia e la libertà sono sotto attacco, ovunque nel mondo e in qualunque forma si manifestino. Tutto vero, e tutto molto minaccioso.
È la mia (la nostra?) reazione, che voglio mettere in discussione. È la mia (la nostra?) postura psicologica che necessita di una urgente risistemata. Di fronte ai mali del mondo e al loro febbrile aggiornamento, quanto vale e a che cosa serve la lagna perenne, la lagna come riflesso pavloviano, le braccia allargate e gli occhi al cielo? È perfettamente vero che non si sa dove andremo a finire, ma finirci con la faccia contrita, con questo mood ferito e impotente, magari è una cosa che si può evitare – per la serie: se non possiamo impedire la fine del mondo, magari facciamoci trovare in buono stato, quando arriva. Non prostrati e ploranti, ma in ottima forma, e sorridenti.
Le persone democratiche (dicitura da interpretare in senso lato) smettano il lutto e la piantino di lamentarsi, pensino piuttosto a come organizzarsi la vita in modo da risultare meno vulnerati e dunque meno vulnerabili. Meno offesi, meno indignati, meno esclusi dai giochi. In ultima analisi: meno sbalorditi e perfino più contenti di vivere proprio qui e proprio ora – anche perché non è che ci siano molte alternative, al qui e ora. E forse, in virtù del miglioramento dell’umore, più energici, e con qualche possibilità in più di non soccombere; e addirittura di ricominciare a vedere vincere la loro parte politica, considerando che il palmarès della democrazia “in progress”, facendo i giusti conti, non è poi così risicato.
Di vittorie alle spalle il campo progressista ne ha a bizzeffe, tante quante ne dovrebbero bastare per avere voglia di tornare a vincere anche solamente passando in rassegna la bacheca: diritti della persona, diritti sindacali, ammortizzatori economici, salute pubblica e protezione civile, negli ultimi cento anni qualche passo in avanti è stato fatto. E adesso che arriva Godzilla, per distruggere la città dei diritti tutta intera, per quanto è lunga e larga, gli ci vorrà un bel po’ di tempo. Tanto di quel tempo che nemmeno se lo immagina.
Entrati nell’ordine di idee di levarsi di dosso, proprio metodologicamente, il malumore costante, proviamo a dare, per prima cosa, una piccola pezza d’appoggio etica a questa necessità.L’umore buono (che è molto di più del buonumore) non sarà immorale, messo a confronto con gli scandalosi dolori del mondo? Ogni sopravvissuto sa che c’è un senso di vergogna, nella sopravvivenza. Facciamo parte del novero degli scampati, noi occidentali delle ultime generazioni. E il benessere (quello materiale e quello dello spirito) non può che aggravarlo, questo senso di vergogna. A parte gli insensibili e gli stolti, non c’è chi non provi un’ombra di colpa quando passa in rassegna gli orrori che scorrono a rullo nei telegiornali mentre si sente al sicuro, magari con un bicchiere in mano, la tavola già pronta per gli amici e l’ultima luce dell’estate, là fuori, che riempie lo sguardo.
Però, attenzione: c’è anche un senso di responsabilità, nella sopravvivenza. Se è un privilegio, e lo è, bisogna esserne all’altezza. Bisogna meritarselo. Possiamo dilapidarlo, questo privilegio, passando le giornate a lamentarci di questo e di quello (in genere fesserie, al cospetto della mattanza di Gaza, delle trincee ucraine, dei battelli che si rovesciano nel Mediterraneo). Si può ignorare la grazia di stare bene, poter parlare, scrivere, leggere, nutrirsi a piacimento, dormire nel proprio letto, frequentare città senza case sventrate e crateri, viaggiare per mare senza colare a picco, stare con gli amici. Si può fare finta che sia normale, vivere in pace e addirittura godersi la vita. Ma è proprio lo spettacolo delle distruzioni in corso a dirci che stare bene e sentirsi al sicuro non è per niente scontato. Non ci è dovuto. È una fortuna che dobbiamo onorare.
Al diavolo dunque il senso di colpa: ci impedisce di fare buon uso del nostro tempo (in tutti i sensi: il nostro tempo di vita individuale e il tempo in cui viviamo). Ci rende noiosi a noi stessi e, quello che è peggio, inutili agli altri. E anche troppo prevedibili nelle conversazioni – attenti, che poi nessuno ci invita più a cena.
Ecco un piccolo elenco (ognuno ha il suo) di cose da fare, e provvedimenti da prendere, per vivere meno abbacchiati, meno depressi e meno deprimenti, meno sulla difensiva e con qualche ragione di conforto che possa contagiare anche gli altri. Senza nessuna pretesa didattica o manualistica, solo per inquadrare un poco meglio l’argomento “basta lagnarsi!”.
Dosare l’indignazione
La persona di sinistra considera sempre obbligatorio indignarsi, una specie di dovere civico, ma attenzione: indignarsi per Gaza, o per la deportazione russa dei bambini ucraini, è un conto. Ma indignarsi per l’ultima dichiarazione di Vannacci, che pensa e dice le stesse antiche risapute frescacce dell’uomo qualunque sugli omosessuali e su tutto il resto; o perché sempre più spesso, facendo zapping, confondi la Rai con Retequattro; o perché Santanché e la sua borsetta non si sono ancora dimesse; no, non è il caso. È uno sperpero di energie, ci sono cose che meritano il moto di ribellione e altre – la maggior parte – che meritano, come dire, una serena indifferenza, e al massimo, quando proprio occorre, un breve cenno di opposizione. Un semplice «non sono d’accordo», specie se segue una spiegazione semplice, chiara e sorridente del disaccordo, basta e avanza per sentirsi in regola con le proprie idee. L’indignazione, come ogni cosa, se si inflaziona perde di valore. Non si macerino nell’offesa, le persone omosessuali, quando parla Vannacci. Non gli concedano questo onore. Gli dicano: ancora con queste vecchie stupidaggini?, e passino oltre.
Abbandonare il catenaccio
È il sistema di gioco della sinistra da troppo tempo. Gli altri attaccano, tu ti difendi. Puoi affidarti, quando va bene, al contropiede (oggi si chiama “ripartenza”), che sfrutta l’energia altrui come base di rilancio. Beh, non va bene, e rischia di diventare un vizio costitutivo: parlo, agisco, esisto solo in funzione dell’offensiva avversaria. Il rischio è diventare, non volendolo, reazionari, cioè reagire ai movimenti e ai mutamenti della società piuttosto che esserne gli artefici. Forse basterebbe una settimana in monastero, alla sinistra, senza giornali e senza smartphone, per bonificare la propria testa dalle parole degli altri e ritrovare finalmente le proprie. Come vorremmo che fosse, il mondo? Da quali idee e progetti inediti (tre o quattro basterebbero) ripartire senza che siano sempre e solo una controproposta alle proposte altrui? Io butto sul tavolo un mio vecchio pallino, il servizio civile (non quello militare) di leva, obbligatorio per tutti. Servire la comunità come dovere comune. La parola “dovere” manca alla sinistra quanto l’ossigeno.
Abbassare i toni
Proprio perché Godzilla li alza per indole, e fa parte del suo monocorde sistema semantico sbraitare (vedi la comunicazione di Trump, rigo per rigo); sarà bene tenere sotto controllo tono e volume, così da non rischiare di perdere memoria della propria voce. È un esercizio di igiene linguistica ma anche di rivalutazione dei contenuti. Si possono dire cose fortissime, anche molto radicali, senza alzare la voce; e alzando la voce, si possono dire le banalità più desolanti. Ti ascoltano se quello che dici ha l’aria di essere frutto di pensiero; non se urli per dare una forma udibile alla tua assenza di pensiero.
Gentili, sempre
La maleducazione è conformista, la sua forma politica attuale è la volgarità che la destra populista spaccia per schiettezza: dunque la gentilezza è rivoluzionaria. Non è per snobismo che si deve essere gentili, non per umiliare i maleducati. È perché (lo si diceva prima) i privilegi esigono responsabilità, e l’educazione è un privilegio, la cultura anche, l’intelligenza non ne parliamo. Siccome nessuno è al riparo dalle crisi di nervi, se proprio viene voglia di dare dello stronzo a qualcuno (e viene voglia) lo si faccia in forme strettamente private, come mi capita, non di rado, guardando i telegiornali. In pubblico no, in pubblico essere cortesi anche con il peggiore degli energumeni è una forma di militanza politica. C’è un quid di ipocrisia, nella gentilezza? Sì, certo che c’è. Ma anche l’ipocrisia fa parte degli attrezzi necessari alla manutenzione della civiltà.
Riprendersi il tempo
Qui ci si richiama alle facoltà di ogni individuo. Basta con la lamentazione corale sul caos comunicativo, la polverizzazione dei discorsi, la compressione forsennata dei tempi di lettura e di apprendimento. È possibile, possibilissimo chiamarsene fuori, nessuno te lo impedisce. Ognuno ha facoltà, a modo suo, di ricostruirsi una disciplina, di ricalcolare i propri tempi quotidiani. Sarà anche la civiltà di massa, questa: ma tu sei tu, e la massificazione non deve diventare un alibi.
Da qualche mese ho ricominciato a leggere quasi per intero, ogni mattina, due giornali, è poco più di mezz’ora e non è detto che i due giornali siano scienza infusa, magari ce ne saranno anche di migliori. È proprio una questione di metodo, è come vedere un film da cima a fondo (anche se a rate giornaliere), leggere un libro intero, è costruire solidità nell’inconsistenza gassosa nella quale siamo immersi. Se siete giovani e la vostra formazione antepone i social ai mezzi tradizionali di informazione, beh, stabilite una gerarchia che sia davvero “vostra” dentro i social: piantatela di scrollare a casaccio, compulsivamente, eleggete i vostri tiktoker di riferimento, gli influencer che vi sembrano più autorevoli (ce ne saranno pure) e levatevi di dosso tutto il resto. Cercare e trovare punti fermi: non è il passato che lo suggerisce, è il futuro che lo pretende.
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