mercoledì 17 settembre 2025

L'Amaca

 

Uomini lungo lo stesso fiume
di MICHELE SERRA
Ognuno ha il suo cinema che lo accompagna, metà memoria metà visione, e per me Redford sarà per sempre Jeremiah Johnson, il cacciatore solitario del film omonimo di Sydney Pollack che fu rititolato, in Italia, “Corvo rosso non avrai il mio scalpo”, alla maniera sgangherata del western nostrano.
Insieme a “Dersu Uzala” di Kurosawa e a “Balla coi lupi” di Kevin Costner, quel film occupa, nel mio piccolo pantheon, uno spazio importante, quello dove si illustra e si illumina la dura simbiosi tra l’uomo e la natura. L’uomo che vive a stretto contatto con le bestie, i fiumi, i boschi, la neve, il vento, il gelo, la fame — e la civiltà è molto lontana. Solo Jack London, e certe poesie di Walt Whitman, si collegano, nella mia testa, a quel confondersi magnifico del corpo umano con gli elementi. Le riprese furono nello Utah, e il fiume dove è stata girata la scena finale è uno dei posti che vorrei sognare ogni notte. Dopo strenue vicende di sopravvivenza, di caccia, di lotta, Redford sta bevendo, sfinito, l’acqua di quel fiume. Alza la testa e vede, a pochi metri, il suo nemico acerrimo, il capo dei Corvi, che lo sovrasta dal suo cavallo. Il nativo e l’invasore bianco sono al varco del duello finale, e il bianco cerca di afferrare il fucile. Ma il capo alza la mano, inerme, in un segno di saluto, di rispetto e di conciliazione. Oggi nessuno ucciderà nessuno. L’acqua del fiume, e le montagne intorno, suggeriscono solo eternità e pace.
In omaggio a Redford e come antidoto ai veleni del presente, bisognerebbe fare vedere quel film nelle scuole americane. Non è woke (è durissimo) e nemmeno Maga (dà ai nativi ciò che è loro). Dice che il vero valore degli uomini è nella scoperta di vivere lungo lo stesso fiume.

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