martedì 5 agosto 2025

Dai erudiamoci!

 

Ipazia, non
Caterina
l’identità misteriosa della santa fantasma
Dietro la figura, incerta sul piano storico, della martire di Alessandria si nasconderebbe la filosofa pagana uccisa dai cristiani nel V secolo L’ennesima prova in un quadro e nella sua proprietaria Anna Jameson
di SILVIA RONCHEY
«C’è un fatto curioso legato alla storia di santa Caterina: che la vera martire, la sola di cui esistano dati certi, non era una cristiana, ma una pagana; e che i suoi oppressori non erano pagani tirannici ma cristiani fanatici. Ipazia di Alessandria, figlia di Teone, un celebre matematico, si era applicata fin da bambina allo studio della filosofia e della scienza, e con tanto successo che, ancora ragazza, le autorità cittadine le offrirono la cattedra di una delle più importanti scuole di Alessandria. Come santa Caterina era particolarmente affezionata allo studio di Platone, che preferiva ad Aristotele. Era anche una profonda conoscitrice delle opere di Euclide e di Apollonio di Pergamo, e aveva scritto un trattato sulle sezioni coniche e altri libri scientifici. Era notevole, inoltre, per la sua bellezza, il suo disprezzo delle vanità femminili e l’irreprensibile purezza della sua condotta. Poiché, tuttavia, rifiutava risolutamente di proclamarsi cristiana, ed era molto amica di Oreste, il governatore pagano [sic] di Alessandria, entrò nel mirino della plebe cristiana. Un giorno, mentre stava andando a fare lezione nella sua scuola, un manipolo di quei fanatici sciagurati la tirò giù dalla carrozza, la trascinò in una chiesa vicina e lì la assassinò con rivoltantebarbarie». Così scrive Anna Jameson, scrittrice irlandese, storica protofemminista e pioniera dei female studies ,che per incoraggiamento di Charles Eastlake, lo scopritore della Flagellazione di Piero della Francesca, nella sua opera principale e fondamentale,Sacred and Legendary Art ,
pubblicata a Londra nel 1874, la prima sistematicamente dedicata all’iconografia dei santi (e forse all’iconografia tout court ),si era messa a fare le bucce all’antica arte sacra. Che il martirio di santa Caterina d’Alessandria e la sua stessa esistenza storica fossero un falso era stato già sostenuto, nel Settecento, dal dotto maurino Jean-Pierre Déforis, tanto che la sua festa fu abolita dal Breviario di Parigi. Anche se la testa del povero Dom Déforis fu troncata dalla ghigliottina nel 1794, lo scetticismo rimase ben radicato tra gli studiosi laici e anche ecclesiastici. Dubbi che si fecero così grandi da indurre ancora secoli dopo la Chiesa cattolica, nel 1969, a escludere la santa dal calendario liturgico, dove sarebbe stata reinsediata solo nel 2002.
Nonostante la narrazione agiografica bizantina la volesse martirizzata nella metropoli egiziana all’inizio del IV secolo, sotto Massimino Daia, uno degli avversari di Costantino durante la tetrarchia, di quest’aristocratica vergine filosofa, celebre per la sua sapienza ed eloquenza quanto per la sua parrhesiao «elegante insolenza” nel rivolgersi ai potenti (àtouts che avrebberoin seguito ispirato Giovanna d’Arco) abbiamo passiones davvero troppo esigue e tardive per poterle considerare autentiche: risalgono, a voler essere generosi, a non prima del VI secolo, e comunque solo nel IX affiorarono nella devozione dei kaloghiri del monastero fatto edificare da Giustiniano sul monte Sinai, dedicato alla Trasfigurazione, che da allora prese il nome di Santa Caterina del Sinai, in base a un elemento della leggenda, secondo cui dopo il martirio il suo corpo e la sua testa erano stati miracolosamente trasportati da due angeli sul sacro monte, per esservi seppelliti.
I dubbi degli studiosi nascevano,peraltro, proprio dalla mancanza di tracce di una venerazione della sua sepoltura negli itinerari dei pellegrini altomedievali nei santi luoghi. E dal fatto che Caterina d’Alessandria restò in definitiva meno celebre nel mondo bizantino che in quello occidentale, e più per la sua diffusione iconografica che per quella letteraria. A buon diritto, dunque, possiamo definirla una santa-fantasma: non solo e non tanto per la sua inesistenza storica, quanto per la sua esistenza come mera immagine e dunque per la sua natura diphantasma ,nel senso che questa parola ha nella lingua greca. Una santa simulacro dellaphantasia che vive nell’iconografia.
Fin qui lapars destruens , non così insolita, in fondo. Non sono poche le figure di sante e santi generate da una più o meno diretta metamorfosi di dèi o di eroi pagani, la cui vitalità non si colloca certo nella storia evenemenziale, ma in quella dell’immaginario, nel popolo degli archetipi e nel novero dei miti, che resistono della psiche collettiva oltre il mutare delle religioni, delle devozioni, dei culti. Il lavoro degli storici delle religioni, così come degli iconografi qual era Anna Jameson, consiste se mai nell’identificare la fonte dell’originaria preesistenza di quella trascolorante immagine mitica.
E sta qui la genialità dell’intuizione della pioniera dell’iconografia: nell’identificare con certezza la figura di santa martire pagana che si cela dietro quella cristiana; nell’esplicitare con chiarezza che la storia del personaggio e del martirio e anche del culto di Caterina erano fin dall’inizio una trasposizione e un reimpiego di quelli, evidentemente preesistenti e probabilmente ben presenti alla memoria collettiva e devozionale egiziana, del culto di Ipazia; che alla santa cristiana erano stati prestati i tratti della santa laica — e vergine e martire laica — massacrata non dall’imperatore romano Massimino, insidiatore del legittimo scettro di Costantino, ma dal “faraone” del monofisismo egizio, Cirillo, usurpatore del legittimo potere statale emanante dal governo centrale di Costantinopoli, la capitale che Costantino avrebbe fondato.
L’esistenza di un culto quasi agiografico, comunque martirologico di Ipazia in ambiente pagano è stata ipotizzata da alcuni studiosi in via puramente teorica. La teoria è dimostrabile incrociando le ipotesi avanzate separatamente e indipendentemente da due studiosi di ambiti diversi: quella di Enrico Livrea, secondo cui l’epigramma di Pallada inAntologia Palatina X, 82 (che ha forti risonanze religiose elleniche) sia l’iscrizione per un cenotafio di Ipazia che poteva somigliare a un tempio e probabilmente aveva dipinto sulla volta un cielo stellato; e quella di German Hafner, secondo cui il cosiddetto medaglione di Afrodisia, un bassorilievo oggi distrutto, sia un ritratto di Ipazia, proveniente da un tempio o altro spazio cultuale.
Il transfert Ipazia-Caterina rimbalzerà tra le pagine dell’ Encyclopaedia Britannica e da lì si insedierà nellacommon opinion dei ceti colti laici del secondo Ottocento. Sull’onda dell’antico scetticismo di Dom Déforis e dei successivi eruditi, cattolici e non, contagerà i lessici ecclesiastici. Diventerà anche un cavallo di battaglia del sincretismo misticheggiante, a sfondo esoterico- astrologico, dei primi del Novecento. E tutto questo grazie ad Anna Jameson.
Dev’essere appartenuta a lei questa immagine scoperta da Alessio Massari, che, tra le tante e notissime che compongono l’iconografia di Caterina d’Alessandria, da Masolino a Caravaggio, è una delle piùbelle e delle meno note. Il dipinto è conservato a Boston con una breve scheda che contiene tuttavia un’indicazione importante: nel 1858 fu visto a Roma da Otto Mündler, nella residenza che era stata di Anna Jameson. Anna era morta da circa vent’anni e la casa era passata, scrive Mündler, al marito della nipote. Quest’ultima non può che essere Geraldine Bate, che aveva accompagnato Anna in Italia, diciassettenne, nel 1847. Suo marito era Robert Macpherson, l’avventuroso pittore scozzese, parente stretto, almeno a suo dire, del James Macpherson deiCanti di Ossian , ma soprattutto pioniere della fotografia d’arte («the father of photography in the Eternal City», come lo definì il necrologio apparso nel 1872 su The Scotsman ),insabbiato a Roma dal 1840, spregiudicato cercatore, mercante e contrabbandiere d’arte, che si era invaghito di Geraldine appunto durante il suo soggiorno con Anna e dopo una tormentata (e avversata) storia d’amore l’aveva sposata due anni dopo.
Che il radioso ritratto della santa fantasma attribuito a Barna (lui stesso peraltro, secondo alcuni, un pittore fantasma) sia stato scovato daAnna Jameson o da Robert Mac-Pherson, che sia stata un’altra delle sue imprese mercantili o magari un omaggio a lei destinato e da lei mai conosciuto perché una morte precoce la colse nel marzo del 1860 senzache potesse più tornare nella Eternal City, la connessione è certa, la storia è bella, e racchiude, come una scatola cinese, altre storie da investigare.

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