giovedì 3 luglio 2025

Gattopardo

 

La Ue si divide sui prossimi tagli alle emissioni
DI VIRGINIA DELLA SALA
In Europa si susseguono le ondate di calore, ma alla Commissione guidata da Ursula von der Leyen non deve esser chiara la componente antropica di questo disastro. Ieri, i funzionari di Bruxelles hanno comunicato ufficialmente la proposta del nuovo obiettivo per ridurre le emissioni climalteranti e raggiungere lo “zero” al 2040. L’esecutivo comunitario doveva fissarlo dopo aver già identificato il traguardo, vincolante, del taglio del 55% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050. Per il 2040, la proposta prevede il taglio del 90% delle emissioni.
L’obiettivo è poco ambizioso principalmente per due motivi: il primo, il Consiglio consultivo scientifico dell’Ue suggeriva una riduzione tra il 90 e il 95%; il secondo è che viene prevista una importante clausola di flessibilità: fino al 3 per cento delle riduzioni può provenire dall’acquisto di crediti di carbonio dall’estero a partire dal 2036. Questo sarebbe “un trucco contabile” secondo ambientalisti ed esperti, con cui si prova a camuffare l’insufficienza di interventi “domestici” piantando alberi e spendendo soldi all’estero. Eppure, la proposta pare scontentare tutti e ora dovrà affrontare Europarlamento e Stati membri. Ungheria (“Proposta folle”) e Francia, ad esempio, si sono già messe di traverso.
Da giorni, il presidente francese Emmanuel Macron sostiene infatti l’idea di rinviare l’obiettivo del 2040 per sganciarlo da un’altra scadenza. L’Onu ha infatti chiesto a tutti i Paesi di comunicare entro settembre, dunque in tempo per la Cop30 autunnale – il vertice mondiale sul clima – il traguardo al 2035 previsto dagli Accordi di Parigi. È il cosiddetto “contributo determinato a livello nazionale” (Ndc) e, logica suggerisce, è influenzato da quello del 2040. Dunque più è debole e in ritardo quest’ultimo, più lo sarà quello al 2035. Anche la Lega ha criticato la nuova proposta: “È scollegata dal mondo reale, vuole distruggere l’industria”. Le concessioni di Ursula von der Leyen sulla flessibilità e i tempi lunghi, necessari per una questione così “delicata” e “politica” (parole del commissario per il clima Vopke Hoekstra) potrebbero non essere bastate a costruire una maggioranza solida. La proposta era ostacolata sia dagli stati membri – l’Italia chiedeva una riduzione all’85% massimo – ma anche dallo stesso Partito popolare europeo (Ppe) che, ancora una volta in linea con le voci critiche dei conservatori e dei partiti di destra, nei mesi scorsi avevano giudicato il target climatico troppo ambizioso. Il posizionamento del partito centrista, che esprime la presidente della Commissione Von der Leyen, ancora una volta è stato in linea con il progressivo smantellamento del Green Deal tanto caro ai partiti di estrema destra in nome della difesa dell’industria, delle piccole imprese, del progresso e dei consumatori.
“L’Europa – ha detto Mohammed Chahim, deputato olandese e responsabile per il clima del gruppo di centro-sinistra Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici (S&D) – ora rischia di sottrarsi alle proprie responsabilità, inquinando in patria e piantando alberi all’estero per comprarsi una coscienza pulita”. Nei giorni scorsi, i socialisti hanno iniziato a minacciare la presidenza di ritirare il proprio sostegno. Il premier spagnolo Pedro Sánchez finora ha appoggiato e sostenuto il voto con il Ppe, facendosi da garante di una alleanza che inizia a scricchiolare. La Spagna, infatti, esprime anche la vice presidente della Commissione Ue, Teresa Ribera, responsabile della transizione verde, che in un’intervista al Financial Times aveva proprio raccontato come molti Paesi stessero spingendo per indebolire l’obiettivo, oltre a essere l’unica a essersi opposta al naufragio della norma contro il greenwashing, voluto da destre e Ppe e materialmente affossata dall’Italia. Ora, se il suo governo dovesse cadere, gli equilibri potrebbero saltare anche nella Ue, dal Consiglio all’Europarlamento.

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