lunedì 2 giugno 2025

L’ora di Mordecai



Quando Mordeacai Richler viene ritirato fuori, la cadenza dell’anno suona la nota più greve, gli slalom non servono più, la domanda che in coclea attizza la dormiente Ritrosia è reale, appannando di colpo le godurie invernali, le divanate celesti nei loro striminziti meriggi, le svaccate con cieli plumbei: perché non andiamo al mare? Quando odo simil richiesta mi scompare appunto quel che adoro di più e il totem stagliatosi innanzi sconquassa la routine del dì festivo, gli appigli per evitar d’esporre l’adipe, melliflui, impalpabili, riottosi, e come Jean Meslier all’alba intento sbuffando ad aprir il portone ecclesiale, adocchio e ripasso la lista di ciò che renderà meno snervante l’approccio al lido, ovvero lo zainetto oramai impossibile da pulire dai granelli di sabbia essendosi incastonati in esso, le ciabatte, il costume, il telo che a fine stagione diventa paravento tanto salmastro è in lui, le paglie, i sigari, i posacenere portatili, il Kindle e come detto l’opera di Mordecai “la versione di Barbey” che leggo come a marzo si sgranocchia il torrone, a novembre si spellano le castagne e a dicembre si innevano i pandori, mentre m’attanaglia il rincrescimento di aver sfanculato, ritualmente, palestre e freni culinari, essendo costretto a breve ad esporre l’otre al pubblico ludibrio, già immaginando il misero incontro con i Pirelliani, quella particolare specie dall’andatura tipica di chi sta portando una canoa per lato, sfoggiando tatuaggi curati e unti come i bomboloni fieristici, per i quali provo carità cristiana, e naturalmente rispolverando l’antica arte visionaria, per cui il volto sembra guardare in una direzione e gli occhi alla Feldman, protetti da scure lenti abbraccianti, roteano in libertà per ammirare il Creato.

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