sabato 14 giugno 2025

L'Amaca

 

Come un cane che si morde la coda
di MICHELE SERRA
Assassinare i capi dei Paesi nemici, come ha fatto Israele con i suoi raid in Iran e anche in precedenti occasioni, non èun’azione moralmente giudicabile — ma nessuna azione di guerra, a ben vedere, lo è.
Il vero problema è che sfugge totalmente la logica: morto un generale se ne fa un altro, gli eserciti sono fatti apposta per rinnovare le proprie gerarchie, non si tratta di bande di gangster che, morto il boss, sono allo sbando, si tratta di istituzioni statali grandi e complesse, spesso con forti radici popolari. Il giorno dopo l’esecuzione dei loro capi le forze militari iraniane ne avranno già di nuovi; per giunta ancora più motivati (i capi, ma anche i soldati) all’odio contro Israele.
Allo stesso identico modo, per ogni terrorista vero o presunto che viene colpito a Gaza, altri dieci ne prenderanno il posto, perché niente come le macerie della propria casa, e il sangue dei propri congiunti, vale a rinnovare la catena dell’odio e della vendetta. Il pacifismo vacilla ovunque, i suoi fondamenti etici e le sue basi politiche sembrano sgretolarsi sotto i cingoli delle varie guerre in corso. Ma c’è un punto non solamente ideale, anche logico, perfino pratico, attorno al quale il pacifismo può vantare una ragione indiscutibile e indistruttibile: la violenza ne genera altra, la guerra rinfocola se stessa, è un cane che si morde la coda, un topo che corre nella ruota.
Un circolo vizioso. Prevedibile fino alla banalità. Diversa è la pace, che prevede un pensiero oltre quello che è già stato pensato, e un passo più in là. Forse è troppo intelligente, la pace, nell’impero cretino della guerra.

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