Il citofono per favore no
di MICHELE SERRA
Citofonare ai genitori di un assassino, poche ore dopo il crimine, e chiedere “avete chiesto perdono ai genitori della vittima?”, è cosa che perfino un magistrato inquirente non si sentirebbe autorizzato a fare. Un poco per rispetto, un poco perché quella domanda non aggiunge niente all’inchiesta: è solo una inutile impudicizia attorno a un argomento (il perdono) che è tanto serio e grave da non meritare che se ne chiacchieri in tre secondi, e con tanta inevitabile approssimazione.
Ma allora perché il tg1 di ieri lo ha fatto, perché molti giornalisti continuano a farlo, come e quando si è deciso che portare un microfono e una telecamera sotto un citofono, o ficcarlo sotto il naso di una persona appena coinvolta in un crimine, per carpire poche parole bofonchiate, spesso pronunciate in uno stato di prostrazione, faccia parte del mestiere di informare?
Può anche darsi che esista, anzi esiste sicuramente, un pubblico di bocca buona che non vede l’ora di vedersi rovesciare addosso l’emotività a badilate, e il dolore in diretta. Gli piace. Ne gode. Ne ha perfino il diritto, perché tutti i gusti son gusti. Ma un telegiornale, santo cielo, lo si guarda per avere notizie. Seppure afflitti dalle dichiarazioncine in serie dei partiti, si conta sempre sulla possibilità di capire qualcosa di più su quello che succede nel mondo. E difficilmente il mondo si annida in un citofono.
L’informazione non è un accessorio, è un organo importante del corpo sociale. Lo spettacolo è un’altra cosa, e in genere si sceglie a quale assistere, a quale no.
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