Quanto ci manca la piazza
di MICHELE SERRA
Forse una grande manifestazione nazionale per Gaza alla fine si farà. Ma secondo tempi e modi ancora da stabilire. Si spera che, nel frattempo, Gaza non venga totalmente rasa al suolo e data in concessione balneare agli amici di Trump e Netanyahu, che avranno modo di rimuovere cadaveri e macerie come i bagnini rimuovono le alghe.
Nell’epoca della velocità, dove tutto accelera e basta un attimo per bruciare miliardi, o crearli, sembra proprio che le manifestazioni di piazza sfuggano alla regola. Vengono convocate molto raramente: e alle calende greche. Con tutta calma. Come se avessero un tempo lentissimo, solenne, anacronistico. Può darsi che questo dipenda dal peso della realtà, della gente in carne e ossa: spostare persone non è come radunare follower, si maneggia l’immateriale molto più agevolmente, e con minore spesa, di come si maneggia la vita materiale.
Ma può darsi, anche, che alle nuove leve della politica, tutte social e slogan, delle piazze importi un fico secco, le considerino un residuo novecentesco, un pachiderma in un mondo volatile, tutto fulmini e saette, tutto clic e istantanee. Ma sbagliano. Diano retta a un vecchio arnese come me: sbagliano.
Se la gente non va più a votare, è anche perché la politica sembra incorporea. E l’incorporeo ha meno appeal, è meno sexy.
Non ce ne frega niente — con tutto il rispetto — dei tweet e delle dichiarazioni lampo (una frasetta e via) ai telegiornali. Vogliamo che la massa dei vivi e dei pensanti si senta convocata, e rappresentata. La politica, senza le piazze, muore di inedia e di inespressività, alla fin fine muore di noia.
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