Attenti ai guru. Un annoso problema del popolo: merita delle élite migliori
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Porca miseria, non avevamo fatto in tempo ad abituarci all’idea del nostro kit di resilienza con le carte da gioco per combattere la noia del fallout atomico, al problema di versare la caparra per il bunker, al rotolo di contanti in tasca perché nelle prime settantadue ore di emergenza le carte di credito non le prende nessuno, che dobbiamo resettare tutto. Ora dobbiamo abituarci ad altre idee: che avremo aziende in crisi per colpa dei dazi di Trump, che dovremo difendere i nostri risparmi dal tracollo dei mercati, che dovremo berci tutto il prosecco che gli americani non compreranno più e metterci in testa che il nostro tenore di vita si abbasserà un pochino. Che novità, eh! Fino alla settimana scorsa si discuteva animatamente se destinare qualche miliardo di fondi Pnrr alle armi per difenderci da Putin, oggi si discute animatamente se destinare qualche miliardo di fondi Pnrr per aiutare le aziende colpite dalla politica commerciale americana. Una cosa è certa: quando si sente risuonare l’accorato appello “Niente panico” è esattamente il momento di spaventarsi.
Vecchie e barbogie teorie economiche direbbero che quando è in crisi l’esportazione ci si rivolge al mercato interno, ma qui abbiamo il problemino che il mercato interno non ha una lira, dato che i salari sono fermi da decenni e non è che ora ci metteremo a comprare più lavatrici e a cambiar la macchina per aiutare il sistema industriale. Quanto alla famosa Europa, sembra un pugile costantemente suonato: dei dazi americani si parla da mesi, si scrivono analisi, si fanno simulazioni, si elaborano teorie, e poi quando i dazi arrivano non si sa cosa fare. Trattare? Resistere? Volare a Washington con il cappello in mano?
Mentre c’è tutta questa confusione sotto il sole, rischia di passare in secondo piano il vero scontro in atto da qualche tempo, che sarebbe quello tra le élite e il popolo. Traduco: il popolo è brutto, sporco, cattivo, sbaglia i congiuntivi e non vuole spendere centinaia di miliardi a debito per armarsi fino ai denti; mentre le élite, o sedicenti tali, ci fanno il pippone simil-colto che è meglio essere armati per avere la pace, che difenderemo il welfare togliendo i soldi al welfare per spenderli in cannoni. Il tutto tra citazioni latine e suprematismo europeo detentore della cultura, perché è noto che né i Sioux né gli aborigeni australiani hanno avuto Shakespeare. Siamo abituati a parlar male dei politici, e va bene, non ci fidiamo nemmeno dei grandi capitalisti, ovvio, ma forse è il momento di chiedersi cosa abbiano prodotto, negli ultimi decenni, le famose élite culturali, gli ascoltati guru del contemporaneo, le alte personalità del commento pensoso, i professionisti della lezioncina col ditino alzato.
Quel che si vede è un sostegno fermo e incondizionato allo stato delle cose, che sì, forse, per carità, si potranno migliorare un pochino, smussare qui e là, abbellire di parole retoriche, ma tutto sommato va bene così, e la prova provata è che rimbomba il richiamo all’orgoglio, piuttosto generico, e ai valori, generici pure loro.
Il “popolo”, naturalmente, non capisce, ma comincia a pensare che tutto quel concentrato di scienza che gli viene ammannito ogni giorno somiglia tanto al pigolare di una vecchia nobiltà con la parrucca incipriata, al minuetto dei sottili distinguo e a una strenua difesa delle posizioni acquisite. Idee nuove, zero. Visioni strategiche, zero. Però molta ironia sul “popolo” fesso e incolto che si ostina a non ascoltare. Che scandalo, contessa!
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