martedì 14 gennaio 2025

Testimonianza

 

La pace spaventa quanto la guerra perché scatenerà il dolore represso
DI RITA BAROUD
DEIR-EL-BALAH — La dura realtà è che a Gaza temiamo la tregua tanto quanto temiamo la continuazione della guerra. La fine dei bombardamenti non significa necessariamente l’inizio della pace, significa affrontare la distruzione delle nostre città e il dolore che si è accumulato dentro di noi in questi lunghi mesi. La quiete tanto agognata rivelerà solo la profondità delle ferite: le rovine di quelle che un tempo erano case e i volti dei cari scomparsi per sempre.
Nelle strade della Striscia la vita continua con le sue strane contraddizioni. Alcuni già festeggiano, emettendo ululati e cantano nei vicoli, come a cercare una gioia temporanea. I bambini corrono per le piazze intonando canzoni festose e le loro madri li guardano con occhi pieni di paura: hanno il terrore che i loro cuori si spezzino di nuovo.
Allo stesso tempo, negli angoli si vedono volti cupi, carichi di sospetto e sgomento. Qui le persone hanno imparato a non fidarsi delle parole. «Questa non è la prima tregua», dice qualcuno. «La pace a Gaza è sempre il preludio a un nuovo conflitto».
Questa guerra non ha lasciato altro che distruzione, non solo nelle strade e nelle case, ma dentro di noi. Le sue cicatrici sono più profonde di quanto possa raggiungere la guarigione e sono più pesanti di quanto la memoria possa cancellare.
Anche io temo la tregua quanto la guerra. Temo di essere lasciata sola ad affrontare tutto questo dolore represso, tutte le sofferenze rimandate. Come affronterò il fatto che la mia casa non c’è più, che i miei cari non torneranno mai più? Come affronterò la notte in cui la mia mente sarà affollata dal rumore dei bombardamenti e dalle grida delle madri? Questa guerra mi ha sfigurata permanentemente. È impossibile per me rimanere una persona normale dopo aver perso la casa, il lavoro, l’università, la famiglia, gli amici e le strade della mia città. I miei principi, i miei valori e la mia visione della vita sono cambiati. La tregua aprirà in me una guerra psicologica. Ma nessuno psichiatra può capire cosa abbiamopassato. Non so cosa sarà la prima cosa che farò dopo il cessate il fuoco: voglio dormire, ma come può riposare questa mente piena di urla delle madri e delle immagini dei bambini sfigurati? La mia memoria è mutilata. Voglio cancellare tutte le foto e i video dal mio cellulare dal 7 ottobre, ma chi cancellerà da me i ricordi della guerra? Voglio andare al mare, sedermi da sola sulla riva, ma come posso mentre la gente vive ancora nelle tende? Voglio piangere tanto perché tutto il dolore, lo sento arriverà a scoppio ritardato.
Quando faccio la stessa domanda alle persone che conosco, le loro risposte sono piene di contraddizioni: «Urlerò e correrò per le strade!», «ballerò mentre piango», «tornerò nel nord di Gaza, anche se la mia casa è solo un cumulo di macerie: abbraccerò le macerie», «piangerò per rimediare a tutto quello che ho sopportato in questi 15 mesi».
Ma ci sono due gruppi che non lasciano mai la mia mente: i sopravvissuti solitari che hanno perso tutte le loro famiglie, e le famiglie dei dispersi che stanno ancora aspettando notizie dei loro cari.

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