martedì 14 gennaio 2025

L'Amaca

 

Quando il nemico è la città
DI MICHELE SERRA
Gli incappucciati che hanno sfasciato il centro di Bologna, e in generale chi sfascia le città, che sono di tutti, hanno come bersaglio: tutti. Indiscriminatamente: tutti. Non la polizia o il governo o i padroni. Non Israele o Trump o le multinazionali. Il loro nemico oggettivo, evidente, ciò che colpiscono e umiliano, è la comunità nel suo complesso. Sono le strade su cui tutti camminano, i negozi nei quali tutti entrano, i cassonetti che tutti usano.
Sono i luoghi e le cose che raccontano il nostro abitare, il nostro transito quotidiano, il nostro incontrarci, parlarci e sopportarci l’un l’altro.
Pochi atti sono politicamente espliciti, inequivocabili come la devastazione di una città. Se colpisco una città, se la danneggio, vuol dire che le sue condizioni e la sua sorte non mi interessano. Che non mi importa di lei, della gente che ci vive e ci lavora. Che se ci vivo e sono un indigeno, se quella città è anche la mia, non mi produce nessun rincrescimento ferirla e sottometterla; se non ci abito, e sono venuto da fuori a fare danni, sto semplicemente esercitando il mio gusto agonistico per lo scontro nel primo teatro disponibile, come un ultrà in cerca di risse, e domani andrò altrove a lasciare le mie tracce, i miei danni, l’impronta dello scarpone militare che ha preso il posto, si spera temporaneamente, del mio cervello.
Non c’è nessuna attenuante politica, per chi fa danni alla città. Il pretesto politico è semmai un’aggravante, è l’uso indebito di una causa, non importa se nobile o ignobile, per giustificare l’eccitazione che si prova a fare danni.
Tra i danni collaterali, le dichiarazioni stucchevoli degli esponenti politici, prevedibili parola per parola anche prima di udirle nei telegiornali.

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