Menzogne eversive
di Marco Travaglio
Nel novembre 2020, mentre stava scrivendo il Pnrr e affrontando la seconda ondata di Covid e le imboscate di Renzi per rovesciare il governo, il premier Giuseppe Conte fu denunciato da Fratelli d’Italia alla Procura di Roma per peculato: l’accusa era di aver mandato la scorta che lo attendeva sotto casa a “salvare” la sua compagna assediata da una troupe delle Iene nel supermercato sull’altro lato della strada, a una decina di metri. La Procura non archiviò, ma iscrisse il premier per peculato, gli notificò l’iscrizione e, come prevede la legge, girò la denuncia al Tribunale dei ministri che, sentiti tutti i protagonisti incluso l’inviato delle Iene, la archiviò nel marzo 2021 perché era tutto falso. Conte non mostrò l’avviso dei pm a favore di telecamera, non gridò al complotto, si mise a disposizione dei magistrati e attese l’esito dell’indagine. Ne parlò il 3 dicembre rispondendo a un cronista in conferenza stampa: “Ho ricevuto attacchi personali a me e alla mia compagna, e mi spiace molto… Un’esponente di FdI mi accusa di uso improprio della scorta, ma è completamente falso: la mia compagna non ha preso l’auto di scorta, io non ho mandato la scorta, che era lì per me in attesa che scendessi. L’uomo della scorta è intervenuto perché ha visto concitazione e trambusto”. Mesi prima Conte era stato denunciato dai parenti delle vittime del Covid per la mancata zona rossa in Val Seriana: i pm di Bergamo l’avevano sentito per tre ore nel giugno 2020 a Palazzo Chigi e tre anni dopo, a fine inchiesta, l’avevano indagato con Speranza e altri 18 fra politici e funzionari per epidemia colposa aggravata e omicidio colposo plurimo: cioè per una strage di almeno 4.148 vittime. Anche allora fu avvisato dai pm prima che il fascicolo passasse al Tribunale dei ministri. E neppure allora gridò al complotto in tv. Espresse fiducia nei magistrati: “Sono assolutamente tranquillo e a disposizione: ho già fornito ai pm tutte le informazioni in mio possesso e ora, se ci sarà un’altra occasione, fornirò ancora la massima disponibilità”. Il Tribunale archiviò tutto 40 giorni dopo perché “il fatto non sussiste”.
La differenza fra un politico corretto e Giorgia Meloni è tutta qui. Nei confronti della premier i pm di Roma hanno seguito la legge e la prassi: quando arriva una denuncia circostanziata, come quella dell’avvocato ed ex sottosegretario Luigi Li Gotti contro Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano per il mancato arresto di Almasri, dovendo affidarla subito e “omessa ogni indagine” al Tribunale dei ministri, non possono archiviarla. Devono iscrivere nel registro degli indagati i denunciati e informarli dell’indagine, perché possano nominare un avvocato e presentare memorie difensive.
La Meloni può non saperlo, ma lo sanno i suoi tre coindagati: i magistrati Mantovano e Nordio e il prefetto Piantedosi, che certamente gliel’hanno spiegato. Lei però ha deciso di buttarla in caciara, anzi in congiura, con quel video sgangherato ed eversivo in cui addita la Procura di Roma che compie un atto obbligato come un covo di golpisti che vogliono “ricattarla” e “intimidirla” per rovesciare il governo; e mente per la gola approfittando dell’ignoranza di molti sull’iter tecnico dei reati ministeriali. 1) Quello che sventolava non era un avviso di garanzia: al momento i pm non la accusano di nulla, la informano soltanto della denuncia e dell’indagine. 2) Nessuna inchiesta a orologeria collegata a riforme o altro. I tempi della notifica dipendono dalla denuncia di Li Gotti, che a sua volta dipende da un atto compiuto (anzi non compiuto) dal suo ministro della Giustizia: il mancato arresto dell’aguzzino libico Almasri, inseguito da un mandato di cattura internazionale della Corte dell’Aja. Che l’Italia, salvo uscire dallo Statuto di Roma che l’ha istituita, era obbligata a eseguire, anziché restituire il criminale alla Libia su un volo di Stato perché tornasse a torturare migranti e a violentare bambini. 3) Nessuna notifica dei pm può intimidire o ricattare la premier (ricattata, semmai, dalla Libia): probabilmente la denuncia sarà archiviata; se invece non lo fosse, non ci sarebbe comunque alcun processo perché per i reati ministeriali serve l’autorizzazione a procedere delle Camere, e il centrodestra non ne ha mai concessa una; se poi ci fosse un processo, i ministri imputati resterebbero al loro posto (come han fatto Salvini, Santanchè e Delmastro).
4) Li Gotti non è affatto un uomo di sinistra o di Prodi: ex esponente del Msi e di An, poi passato all’Idv di Di Pietro, assiste da sempre come avvocato pentiti di mafia (da Buscetta in giù) e rappresentanti delle forze dell’ordine, inclusa la famiglia del commissario Calabresi ucciso da un commando di Lotta continua. 5) Idem il procuratore Lo Voi, uomo di spicco di MI, la corrente togata di destra. 6) È falso che, restituendo alla Libia il torturatore, il governo abbia tutelato l’Italia: ha tutelato l’aguzzino e i suoi mandanti in barba all’articolo 378 del Codice penale, che punisce fino a 4 anni “chiunque aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti”. E il riferimento alla Cpi fu aggiunto dalla legge n. 237 del 20.12.2012, che ne recepiva lo Statuto. Votata da tutti i partiti, inclusi quelli di destra che ora gridano al complotto riuscendo a commettere un altro reato, punito dall’articolo 668 del Codice penale: l’“abuso della credulità popolare”.
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