martedì 10 dicembre 2024

Non fa una nota!

 


Se questa è la musica che gira intorno, l’Italia è messa male

di Andrea Scanzi 

La top ten degli “artisti” più ascoltati dagli italiani nel 2024 su Spotify recita così: Geolier, Sfera Ebbasta, Lazza, Tedua, Anna, Guè, Kid Yugi, Capo Plaza, Shiva e Tony Effe. E la canzone più ascoltata è I p’ me, tu p’ te di Geolier. Devastante. Tutto ciò non denota solo il crollo del gusto medio musicale, ma anche lo svilimento della cultura e – conseguentemente – l’abbrutimento della società. Tutti aspetti che, poi, deflagrano (anche) quando ci sono le elezioni. Su questo argomento ho fatto anche un video su Youtube, che sta generando un bel dibattito (persino Vasco si è esposto mettendo un like). Qualche spunto.

Hit parade. È vero che ogni epoca ha avuto classifiche di vendita pieni di obbrobri, come è vero che Spotify è usato soprattutto da adolescenti e che queste classifiche sono figlie di algoritmi paraculi e forse pure “gonfiate”. Il punto però è che, se ieri accanto alle Aserejè e ai Sandy Marton c’erano pure La cura di Battiato o Anime salve di De André, oggi il decadimento è trasversale e generalizzato. La musica di qualità ci sarebbe anche, ma non riesce a emergere, per colpa principalmente di radio (e tivù) che trasmettono quasi sempre rumenta e di un mercato discografico (o quel che ne resta) che insegue solo il venduto facile.

Talent. Mentre scompaiono sempre più i locali dove un tempo le nuove leve si facevano le ossa, oggi per emergere ti tocca quasi sempre passare dai talent. E chi sono i giudici? Bob Dylan e Fossati? No, Achille Lauro e Jake La Furia. Per emergere, un giovane deve piacere ad Achille Lauro. Che è come se un aspirante politico, per emergere, dovesse piacere a Gasparri.

Boomer. A queste critiche, gggiovani & giovanilisti rispondono che “sei un boomer” e che in ogni epoca i vecchi hanno contestato la musica cosiddetta nuova. Entrambe le argomentazioni sono pietose. Nei Sessanta i “vecchi” contestavano fenomeni come Elvis e Beatles, e chi crede che Tony Effe o Kid Yugi (chi?) verranno studiati tra trent’anni come John Lennon capisce meno di niente. Quanto all’essere boomer: e menomale! Chi lo è ha fatto in tempo ad ascoltare musica irripetibile, mentre chi reagisce con il sempiterno “ok boomer!” è convinto che Tedua valga i Pink Floyd. Ma fatevi curare, su.

Autotune. L’abuso dell’autotune è un cancro culturale. Se hai bisogno dell’autotune per non far sentire che sei stonato come una campana, vuol dire che hai sbagliato mestiere. Fine.

Luciocorsismo. Ultimamente va di moda citare Lucio Corsi, che fino a due settimane fa conoscevamo in sei e che ora (grazie a Verdone prima e Sanremo poi) paiono conoscere tutti. Benissimo: Corsi è molto bravo. Ma sembra persino più bravo di quel che è proprio in virtù del vuoto che ha attorno.

Fruizione. Perché la musica è ridotta così male? Perché la discografia “storica” è agonizzante (infatti la bellezza di un disco splendidamente “artigianale” come Alaska Baby di Cremonini ci pare un prodigio venuto dal passato). Perché anche i live sono pieni di basi pre-registrate e di musicisti veri se ne vedono sempre meno (gli assoli di chitarra sono ormai più rari di una frase intelligente di Salvini). Perché certe generazioni sono irripetibili. Perché la fruizione della musica (ormai divenuta liquida e gratuita) è cambiata. Perché ieri i cantautori erano “fratelli maggiori” le cui parole erano importantissime, mentre oggi contano meno di un influencer scrauso. E perché la musica non è più centrale, bensì relegata a mero contorno: la si ascolta distrattamente, mentre si mangia o meglio ancora si è al cesso.

Concludendo. La musica (o presunta tale) italiana vive uno dei momenti più bassi nella sua storia. E – come sempre è stato – si rivela una volta di più spietata cartina al tornasole di un Paese culturalmente esangue, catatonico, pigro, involuto e spento. Allegria!

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