L’invenzione dell’acqua
DI MICHELE SERRA
La pazzesca guerra dell’acqua in Sicilia apre uno squarcio sull’irrazionalità (credo sia la parola giusta) di noi umani.
Spendiamo cifre inimmaginabili per ammazzarci e/o spaventarci l’uno con l’altro, tanto che letecnologie militari, da secoli, sono all’avanguardia. Con indicibile vantaggio, anche economico, su ogni altro passo in avanti.
Tolleriamo, al contrario, una sorta di primitivismo, di arrancante approssimazione, nelle pratiche civili, che pure dovrebbero sostenerci nella vita quotidiana: se no, come spiegare che ai siciliani, nel 2024, manca l’acqua? Si capisce che la scarsità di piogge influisca, anche fortemente, sulla disponibilità immediata di acqua potabile. Ma l’immagazzinamento dell’acqua, la sua custodia e la sua distribuzione, l’evoluzione delle tecniche necessarie per non disperderla e non inquinarla: non mi verrete a dire che non sarebbe stato possibile fare dei salti di qualità, inventare qualcosa, almeno emulare l’efficienza (per quei tempi) dei romani e dei loro mirabili acquedotti.
Ogni riga che si legge sull’argomento “acqua in Sicilia” è la cronaca di un fallimento. Di un disinteresse pubblico e di una protervia privata.
Di un abbandono di ogni illusione di “progresso”, una delle parole più sprecate, più pronunciate invano. L’acqua c’è. È sottoterra, è dispersa, è rapinata, è sprecata, ma c’è. Si fosse trattato di annientare un nemico, di conquistare un territorio, avremmo già provveduto ad allestire le tecniche e le risorse necessarie. Trattandosi della vita quotidiana di milioni di persone, non c’è urgenza, non c’è interesse impellente.
Prepariamoci al Ponte sullo Stretto che imbocca, trionfale, la via di un deserto assetato.
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