La classifica
Gli affitti dei negozi più cari al mondo Il Monopoli di lusso di Monte Napoleone
DI FRANCESCO MANACORDA
MILANO — Gli uomini sono alti e muscolosi, impeccabili nei loro completi scuri. Le donne, raffinate e dai modi cortesi, parlano quasi sempre due o tre lingue. Si somigliano tutti ma non comprano nulla perché sono solo i commessi e le commesse di via Monte Napoleone, sacerdoti e vestali degli infiniti tempietti del lusso che si snodano nei 460 metri certificati proprio ieri come i più cari del mondo. Molto più eterogenea la folla di fedeli di ogni nazionalità — tanti i credenti, non tantissimi i praticanti, a giudicare dal grado di affollamento di marciapiedi e negozi — che sfila davanti alle vetrine di Prada e a quelle di Fendi, al cantiere che ospiterà il negozio di Dior e a quello che verrà occupato da Louis Vuitton; e poi Loro Piana, Van Cleef & Arpels, Tod’s, Brunello Cucinelli, Moncler, Tag Heuer.
Una vertigine di desideri — splendidi i prodotti, invidiabili gli allestimenti, invisibili i cartellini dei prezzi — una gioiosa maratona del consumo altospendente che sfianca ogni anno centinaia di migliaia di potenziali clienti. È sull’onda di questo affollamento di marchi che Cushman & Wakefield, società di consulenza immobiliare globale, ha portato quest’anno la strada milanese che prende il nome dal Monte di pietà (era al numero 12, dove oggi c’è Hermès) dal secondo al primo posto sul podio, anche davanti alla Quinta Strada di New York, con i negozi che pagano in media 20 mila euro l’anno per ogni metro quadro affittato. Poca offerta — meno di un chilometro di vetrine, contando i due lati dellastrada — e una domanda che cresce sempre di più non possono che far esplodere i prezzi oltre ogni livello e forse oltre ogni razionalità. «Questo è il mall di lusso a cielo aperto più grande del mondo e se non sei qui vieni percepito diversamente», spiega Carlo Capasa, presidente della Camera nazionale della moda, che pure chiede al governo misure per fronteggiare la crisi del settore.
Una crisi che, a giudicare dai prezzi degli affitti e dall’entità degli acquisti — in questa via lo scontrino medio per cliente sfiora i 2.500 euro, altro record mondiale — non morde più di tanto. Sorride contenta, in attesa di entrare da Chopard, la giovane coppia di Singapore che ha girato il mondo e non pare cogliere l’unicum milanese: «Altri posti con così tanti negozi di grandi marchi? Beh, sì, a Parigi ma anche a Vienna». Pochi italiani, molti stranieri che a uno spannometrico esame audiovisivo confermano le statistiche: stallo degli americani, avanzata generalizzata — con l’eccezione della Cina che è in grande riflusso — di tutto l’Est del mondo, dalla Russia, all’Ucraina, alle ex repubbliche sovietiche, fino a una fitta presenza di donne con il capo coperto e famiglia al seguito.
Esulta Guglielmo Miani, titolare del marchio Larusmiani e presidente del MonteNapoleone District: «Risultato che premia anni di lavoro. Via Monte Napoleone ha un valore aggiunto che Londra, Parigi e New York non hanno, cioè la presenza di tutti i più importanti marchi del lusso nel raggio di 500 metri». Ai negozianti non piace per nulla l’idea del sindaco Beppe Sala di rendere il Quadrilatero della Moda zona a traffico limitato, men che mai il progetto — di cui per la verità si è persa traccia — di trasformare Monte Napoleone in strada pedonale. «Non è piazza Duomo, è un luogo di business e la pedonalizzazione non ha alcun senso», attacca ancora Miani. Non può diventare un museo, questa strada del lusso, ma nemmeno può essere — come adesso — un parcheggio abusivo: furgoni delle consegne, berlinone e suv che riposano sotto i cartelli di divieto di sosta, i più intraprendenti che poggiano vezzosi due ruote sul marciapiede.
Già consegnata ai posteri dai fratelli Vanzina nel semanticamente non impeccabile “Montenapoleone” del 1987, questa via è anche il simbolo estremo di come è cambiata e sta cambiando la città. Un futuro da Londra, per Milano, con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso? Un connubio tra “Old money” e nuovi ricchi che trasforma lo scacchiere cittadino in un Monopoli del lusso dove la classe media non può certo giocare? Nel 2021, ad esempio, passa di mano la Reale compagnia italiana, società con 331 azionisti dell’altissima borghesia e della nobiltà cittadina. A comprare, per la strabiliante cifra di 1,3 miliardi di euro, è il fondo Usa Blackstone, che si aggiudica tredici immobili di pregio a Milano e uno a Torino. Lo scorso aprile Blackstone vende uno solo di quegli immobili — per l’appunto il grande palazzo di via Monte Napoleone 8 — al gruppo francese del lusso Kering — e incassa a sua volta 1,3 miliardi. Mattoni e milioni si scambiano come figurine, innescando anche curiose e forzate convivenze. Oggi, infatti, al numero 8 batte la bandiera di François Pinault, patron di Kering, ma tra quei muri resta — almeno fino a scadenza affitto — Cova, storica pasticceria che appartiene alla Lvmh del suo arcinemico Bernard Arnault. E sempre al numero 8 — altro rapporto di vicinato scabroso — c’è la boutique di Prada Donna. La coppia d’oro della moda italiana correrà ai ripari? Al numero 6 c’è Prada Uomo e alcune fonti — non confermate — sostengono che là il marchio potrebbe trovare una casa tutta sua. Al numero 2, nel magnifico Palazzetto Taverna Fossati, casa l’ha già trovata Lvmh: ci saranno spazi per Vuitton, Bulgari, Tiffany e anche un ristorante stellato. Per ora buldozer, cantieri e nervi tesissimi tra i superstiti e non indigenti abitanti della zona. Ma il Monopoli di Milano non si ferma. Anche Ibrahim, che ti mette il braccialetto al polso — «Tu hai la faccia buona, è un regalo» — si adegua allo spirito del luogo e reagisce sdegnato all’offerta di 5 euro: <Dai, devo fare la spesa, dammene 20».
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