Chissà come avranno riposato stanotte Giandomenico Caiazza, Pasquale Annichiarico e Luca Perrone, legali di Girolamo Archinà - ex responsabile relazioni istituzionali di Ilva, e dei Fratelli Riva. Chissà se avranno fatto sogni, se nel silenzio qualcosa avranno percepito dalla loro coscienza. Chissà quanto si saranno impegnati a scavare, approfondire, scandagliare il proscenio processuale alla ricerca del cavillo, dell’arzigogolo capace di resettare un processo già pregno di dodici, dicasi dodici anni di udienze, perizie, testimonianze, di 3700 pagine di sentenza. Puff! Tutto svanito, evaporato; grazie alla solerzia degli avvocati di cui sopra, che, sforzandosi oltremodo, hanno trovato il cavillo principe, il bengodi, ovvero che alcuni giudici vivessero nelle stesse zone di chi si è costituito parte civile. Cari bimbi del quartiere Tamburi, morti di cancro, cari genitori, cari operai volati in cielo per leggi non scritte agevolanti Messer Capitalismo e la produzione oltre ogni norma umana: probabilmente la santa - per loro - prescrizione laverà tutto, coscienze comprese di lor signori, grazie allo scrupoloso lavoro dei tre azzeccagarbugli e alla loro professionalità, un mistero in questa laida biglia blu, dove a volte la disonestà intellettuale si confonde con la bravura e l’abilità.
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