La realtà come complotto
DI MICHELE SERRA
Donald Trump è un bugiardo seriale, ma non lo sa. Crede sia vero tutto ciò che gli piace, e falso tutto ciò che gli dispiace. E dunque, se qualcuno lo contraddice per richiamarlo alla realtà dei fatti (come hanno fatto i conduttori del match con Harris, applicando in buona coscienza le regole del loro mestiere) si indigna, e con lui i suoi elettori, considerando questo richiamo alla realtà una mossa sleale e faziosa.
Siamo così abituati a pensare alla politica come a uno scontro di verità differenti, ma relative a una stessa realtà, che stentiamo a mettere a fuoco questa variante sconvolgente: un pezzo consistente della politica occidentale (degli altri posti del mondo sappiamo troppo poco per poter capire davvero come vanno le cose), così consistente che potrebbe vincere per la seconda volta le elezioni americane, non ha come proposito quello di cambiare la realtà, ma di farne finalmente a meno. Di stabilirne l’irrilevanza e di considerarla, per intero, un complotto nemico da sventare.
Questo tema mi ossessiona da anni (credo con ragione) e mi rendo conto di averne già scritto già troppe volte. Per non ripetermi troppo, vi rimando a tre libri, uno vecchio, uno seminuovo e uno nuovo, che possono aiutare a inquadrare meglio, anche storicamente, questo processo di progressiva dismissione della realtà. Il saggio di Richard Hofstadter “Lo stile paranoide della politica americana”, un classico degli anni Sessanta. “Infocrazia” di Byung-Chul Han, uscito in Italia un paio di anni fa. E “I demoni della mente” di Mattia Ferraresi, appena pubblicato. Nessuno di questi libri ha la minima probabilità di essere letto dalle persone di cui parlano.
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