«Allora, mentre tutto il mondo era concentrato a guardare quei due che poggiavano i piedi sulla Luna, Michael si allontanò a bordo del Columbia. In quel momento il satellite era distante 390.000 chilometri dalla Terra. Piú solitario di qualsiasi altro viaggiatore, Michael si inoltrò verso il lato oscuro della Luna. Verso la parte che ostinatamente ci viene negata a causa di un sortilegio, quello che i pianeti, muovendosi in un certo modo in ragione dei loro rapporti di forza, ordiscono tra loro. Michael, in quel momento, divenne remoto a tutti: l’unico uomo dell’intero sistema solare a essere separato da ogni cosa. L’unico alle prese solo con se stesso e con la gioia, irripetibile, che sentiva. Neppure Buzz o Neil, laggiú sulla Luna, erano soli. Neppure loro erano privi di un canale di comunicazione con chi era rimasto sulla Terra. Solo lui, per quarantasette minuti, conobbe quel rovescio di universo, quella vertiginosa quiete universale. Solo lui, da lí, non entrò in contatto con nessuno. Né con la base. Né con Buzz né con Neil. Solo lui riuscí a sentire il silenzio cosmico piú assoluto e sorprendente».
(Federico Pace, La più bella estate, Einaudi)
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